Partire, Ritornare e Body Positivity

In questo episodio:

Nel secondo episodio chiacchieremo con Lara Lago (@lara_lake).
Lara è una giornalista e attivista che lavora a Sky e cura la sua rubrica online “Caro Corpo” sui canali social di SkyTG24. 
Dopo alcuni anni di lavoro in Italia, trova un’opportunità di lavoro ad Amsterdam, e lì inizia a conoscere una società diversa e inclusiva. Lara è anche una ragazza curvy e ad Amsterdam (in quel periodo, nel 2016, diventa virale un sua lettera indirizzata al Ministro Poletti in merito ad alcune sue affermazioni sui giovani italiani immigrati all’estero) scopre che lì è possibile fare qualunque lavoro senza dovere rispondere a nessun tipo di stereotipo fisico. Viene così a contatto con i temi della Body Positivity e inizia a guardare il suo corpo con occhi diversi. Poi, sceglie di tornare in Italia portandosi dietro un bagaglio pazzesco. E tra molti progetti, tiene sui suoi canali vivo il dibattito sui questi temi, dando voce a storie che è tempo di raccontare. In questo episodio ascolteremo il suo percorso. Buon ascolto!

 

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Caro Corpo

Lettera aperta all’ex Ministro Poletti

Body Positivity: Lara Lago, che ad Amsterdam ha imparato ad amarsi

Transcript:

“Sarei una bugiarda se ti dicessi che non ci sono giorni in cui sono grassofobica io per prima nei confronti del mio corpo e poi la cosa assurda è questa la essere attivista non ti mette al riparo da un mondo grasso fobico”.

Benvenuti a nuovo episodio del podcast “Le Faville” la serie dedicata a quel momento preciso in cui sentiamo che tutto sta per cambiare. La favilla è quella cosa che a un certo punto sboccia, salta, nasce e ci spinge a cambiare, creare, distruggere, ricostruire e ripensare ogni cosa. In questo spazio voglio celebrare le faville di persone molto diverse tra loro. Farmi raccontare come le hanno ascoltate e in quale luogo si sono fatte portare, attraverso conversazioni organiche e libere.

Ciao a tutte, tutti e tutt* io sono Manuela e vi ringrazio per essere qui.

In questa puntata ho avuto il piacere di chiacchierare con Lara Lago a proposito di come si è avvicinata ai temi della Body Positivity e della Grassofobia.

Lara è una giornalista e attivista vicentina ha iniziato la sua carriera lavorativa in Italia per poi spostarsi in Albania e ad Amsterdam e oggi si divide tra Milano e il Veneto.
Ad Amsterdam trova i mezzi per strutturare la sua carriera a modo suo, per esprimersi e iniziare a guardare il suo corpo con occhi nuovi.
Inizia lavorando come video editor Zoomin.tv che la porta a diventare Head of Content del canale video web Just Me, poi torna in Italia accettando una proposta di lavoro nella redazione di Sky ci torna però con un nuovo mindset, un sacco di esperienza e con la consapevolezza di volere continuare a portare avanti i temi che la rispecchiano davvero, uno tra tutti la Body Positivity e la lotta alla Grassofobia.

Nel 2016, Lara risponde pubblicamente su Facebook ad un infelice affermazione dell'allora ministro del lavoro Poletti che in un’intervista, quando venne messo davanti al fatto che in quel momento 100.000 giovani italiani erano emigrati all'estero per lavorare rispose che “avrebbero fatto bene a rimanere dov’erano”. La lettera di Lara ha fatto il giro del web, leggerla per me è stato come dare uno sguardo velocissimo agli ultimi quattro anni della mia vita vissuta fino a quel momento e infatti ho iniziato a seguirla. In questo episodio parleremo della sua storia, di Amsterdam, di che cosa significa essere expat e poi ex-expat, di capelli blu, di carciofi a colazione e di andare lontano per accettarsi e amarsi e di rappresentazione.

Ora vi lascio alla nostra chiacchierata e noi ci risentiamo alla fine dell'episodio per ora buon ascolto!

 

Manuela: Ciao Lara, innanzitutto grazie per essere qui, sono molto felice di poter spendere un po' di tempo insieme oggi!

Lara: Grazie mille a te Manuela, bellissimo invito e sono veramente molto emozionata di essere una tua ospite.

Manuela: Lara io ti ho conosciuta nel 2016, virtualmente, quando pubblicavi la tua lettera aperta di risposta all'ex ministro Poletti, Ministro del Lavoro. Lettera che ovviamente ho apprezzato molto e in cui mi ritrovavo da expat quale sono tuttora, da quel momento ho iniziato a seguirti e a riflettere con te, seppur da lontano sull'esperienza che stavi vivendo e sulle inevitabili similitudini con la mia esperienza all'estero e, come ci siamo già dette ci sono aspetti che sono condivisi un po’ in tutte le esperienze di chi lascia casa e va a vivere in un luogo straniero per citarti “luoghi che non conosci e non ti conoscono” e oggi finalmente siamo qui assieme e vorrei partire proprio dalla Lara in Olanda.

Lara: Allora, guarda, la Lara in Olanda è una Lara che non mi lascia mai! Nel senso che io anche in questi giorni continuo proprio a pensarci, a pensare alla mia esperienza, a pensare a come una volta che sei expat poi lo sei per sempre. Cioè non è una cosa che cominci a essere poi a un certo punto magicamente smetti di esserlo è una cosa secondo me a senso unico. Puoi tornare comunque a vivere in Italia puoi tornare a fare altre scelte però è una cosa che cambia te, cambia te nella tua assenza.

Mi piace molto quella frase che tra l'altro mi ero pure dimenticato di aver scritto “luoghi che non conosci e che non ti conoscono” perché comunque crescere in un ambiente implica avere una rete sociale che ti conosce che ti vede crescere no? Che conosce la tua famiglia, conosce i tuoi amici, non so il quartiere dove abiti, cominci a conoscere i vicini eccetera e quindi ti senti anche un po’ protetta. Andare a vivere fuori secondo me è proprio buttarsi un po’ senza paracadute, nessuno ti conosce.

Uno dei miei pensieri ricorrenti quando ero via, soprattutto i primi mesi, quando conoscevo pochissima gente solo i miei colleghi, con i quali peraltro mi vedevo appunto solo in ufficio e poi non avevo chissà che contatti, e io continuavo a fare questo pensiero molto macabro peraltro continuavo a dire “se adesso per caso cado in un canale di Amsterdam nessuno saprà mai dove venirmi a cercare” (Lara ride) capito?? Quindi questa sensazione, veramente, di essere da sola al mondo.

Manuela: Capisco perché quando si parte per un'avventura così bella e interessante l'ultima cosa a cui si pensa e a come ci potremmo sentire una volta arrivati lì e avendo fatto i conti con il fatto che da quel momento si inizia a essere da soli, a dover affrontare tutto da soli quindi capisco perfettamente. E qui, viene spontanea la successiva domanda, in queste prime ore o nei primi giorni di chi o di che cosa non hai sentito la mancanza?

Lara: Non ho sentito la mancanza dell'anno prima che avevo vissuto, perché comunque l'anno prima avevo vissuto un licenziamento da un posto di lavoro che pensavo fosse abbastanza stabile. Quindi io parto nel febbraio 2016 e tutto il 2015 era stata veramente una montagna russa, anche bella ti devo dire però avevo fatto un sacco di cose e molto sconnesse tra di loro.
Quindi nel 2015 vengo licenziata. Dal febbraio al giugno del 2015 vado in Albania a Tirana, un'esperienza bellissima dove faccio questo reality per giornalisti per una televisione che si chiamava Agon Channel, poi la televisione appunto ha chiuso e torno in Italia, faccio un po’ di mesi scrivendo articoli, un po' da freelance no? Quindi senza avere un impiego fisso, chiedendomi di continuo quale sarà il mio futuro professionale. Poi lavoro persino per il mondo del cinema, una cosa che non ho mai fatto prima, lavoro per questa serie della Rai con un ruolo di capo comparse, quindi una cosa molto distante dal il mio percorso, dal mio cammino, però ne ero estremamente affascinata da questa cosa e sai perché? Perché avere mille comparse da preparare durante un film ti mette di fronte alle loro storie e quindi io che sono estremamente attratta e affascinata dalle storie, erano mille storie che camminavano, mille storie con cui sono stata a contatto per due mesi, alla fine un mese e mezzo, mentre abbiamo girato appunto questa fiction. Era un'attività che mi piaceva, mi divertiva molto, però appunto non era esattamente quello che volevo fare. Quello che Amsterdam mi ha dato appena arrivata e la sensazione che si stava aprendo un nuovo cammino un nuovo percorso che era un po’ più concreto.  

Manuela: Certo, come hai capito che volevi partire e perché proprio in Olanda?

Lara: L'attrazione per l'estero ce l'ho sempre avuta, semplicemente il parlare in inglese, guardare film in inglese ascoltare musica proveniente da altri posti mi ha sempre parlato molto da vicino fin da quando ero piccola. Tra i 12 e 14 anni ho sempre sentito questa vocina che mi diceva “ma tu non ti preoccupare delle cose della tua via, del tuo paese o della tua regione, perché tu dal Veneto prima poi andrai via” e questa cosa l'ho sempre sentita molto forte. Cioè la sentivo, era come una vocazione, una chiamata senza sapere il perché, cioè da dove mi arriva questa cosa. So che però io sono partita abbastanza da grande avevo 30-31 anni, se ho fatto giusto i conti, ma ora non lo so, non so non mi ricordo quanti anni avevo nel 2016 (Lara, ride).

Mi ricordo che mio padre mi diceva (io ho vissuto a casa coi miei genitori tantissimo tempo, fino a poco prima di partire) e mio padre mi diceva “ma perché non ti prendi una casa in affitto, perché non fai qualcosa per stabilizzare la tua vita?” e io continuavo a rispondergli “ma perché io tra poco vado via!” e questa cosa l'ho detta per anni senza sapere se mai sarebbe successa e sentendomi rispondere anche dall'altra parte “Si, ma va là! Ma dove vuoi andare!”.
Tanto che banalmente a un certo punto cedo e comincio a pensare che “va forse sì, resterò in Italia” o comunque la partenza non è così immediata e mi compro una macchina e questo succede nel 2014.

Nel 2015 poi il mio mondo come lo conoscevo si sgretola, inizia a sgretolarsi e comincia appunto prima con l'Albania e poi con l'Olanda. Mi sono messa su LinkedIn ero a tutti gli effetti una disoccupata, volevo fare la giornalista.
Quindi mi metto su LinkedIn e cerco, faccio questa ricerca: “giornalista”.
Pagina in italiano, offerte di lavoro in italiano e ne trovavo, zero!
Perché è abbastanza noto che le redazioni non cercano i giornalisti su Linkedin.
Appena io, al posto di scrivere “giornalista” scrivo “journalist” mi cambiava il mondo davanti! Perché mi trovavo tantissime offerte di lavoro, ed erano offerte disparate tra di loro, mi ricordo di un application che feci a Tel Aviv, me ne ricordo un paio a Londra, quindi non è che ho detto “Olanda, perché io voglio andare in Olanda” ho detto semplicemente “io voglio tornare a fare il mio mestiere, che stato mi dà la possibilità di farlo?

Manuela: A volte qualcosa che non è nelle nostre aspettative, Amsterdam magari non era nelle città che erano definite da te quelle dei sogni, magari poi lo diventano dopo, ci si innamora in un secondo momento.

Lara: Certo, assolutamente!

Manuela: In una conversazione che abbiamo avuto tu hai detto “Dall'essere expat non si guarisce!”. Ti va di raccontare questo pensiero?

Lara: Assolutamente sì. Allora parto un po’ più lontano per raccontartelo.
La tristezza che ti raccontavo prima del giorno in cui sono arrivata ad Amsterdam è una tristezza molto in profondità. Cioè non è un tipo di tristezza che sei triste e piangi e ti passa, è una cosa proprio che ti prende le viscere e che ti dice “ok, tu adesso sei qua da sola e ricominci tutto da capo”. Il momento più triste, l'immagine più triste che io ho del mio…non del mio arrivo ad Amsterdam perché ero arrivata il giorno prima, questa cosa succede il giorno dopo, la domenica, sono fuori dalla banca, devo andare ad aprire il conto in banca per vivere lì e ci sono delle parole che in inglese non so manco dire, l'olandese, figuriamoci se so’ l'olandese.
In tre anni non l'ho mai imparato, e non lo dico in modo particolarmente orgoglioso.
Mi metto a piangere fuori dalla banca dicendo “Ma cosa sto andando a fare!? Ma sto aprendo un conto qua? Ma veramente?? Dove non conosco la città, dove non conosco nessuno, dove non so manco parlare, dove non ricordo come si pronunci il nome della mia via”.
Me lo sono dovuto scrivere su una nota del telefono! Non so come fare per andare al cinema.

La prima volta che andai al cinema da sola ad Amsterdam mi pareva di essere sbarcata sulla luna, felicissima! E secondo me questa è anche parte della soddisfazione di essere un expat, che hai tanti ostacoli di cose piccole che ti sembrano insormontabili e poi in realtà sono cose molto fattibili però mentre qui prendi la macchina vai al cinema, entri guardi il film e finito, lì devi capire intanto: se il film ha i sottotitoli in inglese oppure no, perché potrebbe essere pure in olandese e cosa vai a vedere un film se non capisci niente? Poi nel biglietto, c'è scritto in olandese il nome il posto è il nome della fila, però quale dei due numeri è il posto e qual è la fila?

Tutte cose veramente banali, piccole che ti sembrano ostacoli veramente molto grandi e che poi sicuramente riuscirai a risolverli questi ostacoli e nel momento in cui lo farai ti sentirai veramente Wonder Woman.
Io ero felicissima dei miei microscopici traguardi e questo è il diventare expat.

Diventare ex-expat vuol dire rientrare, e allora, se io ho detto che questo era un dolore lancinante, quello del ricominciare da zero che è un dolore molto specifico almeno nella mia esperienza, nel mio vissuto, molto molto profondo, un dolore che quando ci ripensavo anche mentre scrivevo la lettera di Poletti o anche nei tre anni che ero lì, ogni volta che pensavo a quel momento mi commuovevo. Una cosa forte che comunque tu rinnovi tutti i giorni, il fatto, l'idea di essere da sola poi ovviamente più passa il tempo meglio ti trovi e più quella cosa lì quel dolore lancinante fuori dalla banca tendi un pochino a dimenticarlo. Però c'è, è presente.
È una cosa, che ti dice “ricordati che tu sei partita da qui, quel giorno lì eri lì fuori dalla banca da sola e piangevi.”

Ritornare in Italia, nel mio caso sono rientrata non più in Veneto ma a Milano, e quindi divento ex-expat, mi provoca un dolore molto più diluito. È un dolore che è un estraniarsi dalla società italiana, che non riconosci più e che non è come quando torni a casa il weekend a trovare i genitori e stai tre giorni sapendo che tanto lunedì mattina riparti col volo per Amsterdam.
È un dire, “ok sono qui per rimanere, sono qui perché ho trovato un nuovo lavoro in Italia”.
E ti senti un pesce fuor d'acqua perché ti senti che non appartieni a nessuna delle due realtà. Non sei olandese, perché non lo sai olandese, tu sei italiana, ma non sei italiana perché questa Italia non ti non ti assomiglia. Non ti fa vedere la persona che tu eri, ieri ad Amsterdam.
Ieri ad Amsterdam, oggi Milano sei due Lare diverse.

C’erano un sacco di fattori che mi facevano stare molto male, ad esempio, mi sembrava che tutta la gente intorno a me a Milano fosse estremamente triste.
Sbuffavano, sui mezzi, sulle scale mobili, litigavano al telefono a qualsiasi ora del giorno, della notte, di continuo. La gente non era felice mai, neanche quando era seduta al bar a bere un caffè perché era nervosa la cameriera, nervoso il signore che chiedeva il caffè allora la mia domanda era “ma sono io che sto facendo un transfert? E la mia tristezza, questa che vedo proiettata negli altri? O veramente questo rientro mi sta dando delle emozioni forti, negative, molto più forti di quelle che mi aspettavo?”. E questa cosa, sai, non riuscivo a superarla.

Io ci ho messo 5-6 mesi per riambientarmi.
Ed era una cosa che non mi aspettavo assolutamente, anche perché, tutti intorno a me dicevano “Ma non sei felice? Ma non hai sempre voluto tornare? Ora che sei tornata qui, hai un bel lavoro in Italia, perché non sei felice?”. E tu non sai neanche da che parte cominciare a spiegarglielo. Perché tanto pensi che siccome loro non sono stati expat e non sono ora ex-expat non potranno capire.

Infatti, io questo discorso riesco a farlo capire solo alle persone che hanno vissuto all'estero e che poi sono rientrati in Italia, perché faccio molta molta fatica a comunicare questo stato d'animo che sentivo agli altri. Era molto difficile persino da spiegare a parole.
Ho incontrato recentemente un collega che viveva ad Amsterdam e lui e rientrò in Toscana, la sua regione di origine, prima di me…qualche mese prima di me. Lui mi raccontò della sua depressione che durò sei mesi, proprio i sei mesi del rientro, depressione che all'inizio non aveva il coraggio di chiamare con questo nome. Nel suo caso, non c'era neppure un lavoro ad aspettarlo in Italia, era stata una sua scelta. Lui non aveva più voglia di stare ad Amsterdam aveva deciso di tornare; quindi, anche di fronte a una scelta individuale tu torni in Italia e non ti senti più che appartieni a quel luogo. Ti senti veramente un extra-terrestre, ti senti proprio fuori posto: un elefante in frigo, un cactus sulla federa del cuscino, ti senti una cosa che non dovrebbe essere lì. Mi ha dato molto sollievo parlare con persone che stavano male come stavo io perché ho detto “Ok, allora non sono io, allora questa cosa esiste, allora questa cosa c'è!”.

Manuela: Io, pur non essendo ancora rientrata in Italia sento di capire quello che stai dicendo. Quando io rientro, anche solo per una vacanza, è sempre molto complicato spiegare a chi non ha vissuto tutto questo, tante cose, anche quelle più semplici. Anche le priorità, il poco tempo, le difficoltà le gioie. È abbastanza complicato spiegarlo e quindi alla fine la tendenza è quella di confidarsi e parlare di queste cose con chi sai che c'è già passato.

Qual è la cosa più importante che ti sei portata via dall'esperienza ad Amsterdam?

Lara: Allora, tante, tantissime! Però se mi chiedi, una cosa.
È sicuramente la consapevolezza nei confronti del mio corpo, era la prima volta che avevo un'esperienza così lunga in un paese del Nord Europa e mi sono resa conto che lì, la forma di come siamo, di come siamo fatti non frega niente a nessuno.
Andare in ufficio vestita in tuta o vestita quella camicia, la giacca o vestita con il top con la pancia fuori era lo stesso!
Che io andassi con i capelli blu, o viola, o neri era lo stesso, o bianchi con la ricrescita, non gliene fregava niente a nessuno.
Quindi questa è la lezione più grande che mi sono portata a casa, e che il mio corpo non serve più. Il mio corpo non è più uno strumento di lavoro.
Prima in Italia, per fare la giornalista ti servivano il computer, l'auto, la penna, forse il registratore se vuoi registrare l'intervista e il corpo. Perché se sei sexy bella, presentabile ma non presentabile, ti direi qualcosa di più: devi essere quasi sensuale!
Perché ti assicuro, che se vai in caserma a fare quello che si chiama il giro di nera, a raccogliere le notizie e se sei un attimino più provocante, un attimino più carina, le notizie te le danno più volentieri e magari si ricordano di te. E il giorno in cui avranno una notizia, che magari devono decidere a chi dare, stai tranquilla che se sei gnocca, te la danno!
Se invece non sei gnocca, sei semplicemente una del mucchio…ecco questa, cosa lì non esisteva.

E per me è stata una immensa liberazione e un'immensa opportunità anche per cominciare un attimo a ragionare su questi temi e riflettere.
Ho cominciato a pensare ad avvicinarmi a tutti i temi del femminismo, che tra l'altro so che sono a te cari, e a tutti i temi della Body Positivity. E ho cominciato anche ad avere un approccio mio diverso verso le altre persone, è un tipo di società che ti dà meno pressioni.
Tante volte, mi son detta che forse ero io che sentivo meno pressioni perché non capivo l'olandese e quindi non sapevo quello che le persone intorno a me si stessero dicendo e quindi vivevo in una specie di bolla trasparente dove non leggevo i giornali olandesi, non leggevo le pubblicità per strada quindi effettivamente quasi come se fossi una persona sordomuta in una città e questo sicuramente mi ha protetto perché metti che qualcuno avesse mai fatto una battutina io non l'ho mai capita. (Lara ride)
E quindi non mi è mai arrivata.
Da Amsterdam, mi porto a casa che una società più inclusiva può esserci, mi porto a casa i volti delle donne col velo che guidano il tram, mi porto a casa giornaliste di tutti i tipi: grasse, magre, bianche, nere. Mi porto a casa che appunto il corpo non è più uno strumento di lavoro ma che puoi veramente essere chi sei, diventare chi sei sempre di più tutti i giorni e soprattutto tutti i giorni ed essere fedele a te stessa senza subire pressioni da fuori, che si il tuo ambiente di ufficio o il circolo di amici.

Manuela: Quale è stata la tua più grande Favilla fino ad oggi?

Lara: La mia favilla, te la racconto nel dettaglio.
Accade il 15 febbraio del 2015 ed è quel momento in cui tu pensi di avere un lavoro a tempo indeterminato, io ce l'avevo, lavoravo per una televisione locale, in più avevo anche altri lavori: lavoravo come ufficio stampa nel mondo della politica, eccetera…tu hai questo percorso segnato e sei tranquilla. Quel 15 febbraio era l'ultimo giorno di carnevale, io ero a Venezia e mi ero presa un giorno di ferie per festeggiare il carnevale e mi arriva una telefonata, anzi mi arriva una mail e una telefonata.

Alle 03:30 mi arriva la telefonata, che mi dice “domani l’amministratore delegato dalla televisione per cui lavori ti vuole vedere” e quindi tu capisci che c'è qualcosa non di positivo all'orizzonte. Questa cosa succede alle 03:30 PM alle 04:00 PM ricevo una mail che mi dice “sabato, c'è un biglietto aereo per te che ti aspetta, dall'aeroporto di Venezia fino a Tirana”.

Questa è stata la mia più grande favilla perché è quel momento in cui tu ti rendi conto che qualcosa sta per implodere, il giorno dopo sarei andata nell'ufficio dell’amministratore delegato che mi avrebbe appunto licenziata. Io ero un part-time e l'azienda era messa in condizioni critiche e hanno deciso di fare dei licenziamenti e primi che hanno licenziato erano appunto i contratti part-time. Quindi, io mi vedo sfumare quello che pensavo sarebbe stato il mio lavoro, ma dall'altra parte però io ero già un po’ insofferente nei confronti di questo lavoro e quindi avevo fatto dei casting per questa televisione in Albania, che si chiamava Agon Channel e i casting erano andati bene mi avevano preso e quindi c'era un posto per me.
C'era un biglietto aereo, già pagato, che mi aspettava quindi è come se ci fosse una pista di atterraggio dove si aprono lentamente una dopo l'altra tutte le lucine della pista e ti dice “di qua Lara, vieni di qua, questa è la strada che devi seguire!”.

Quella è la favilla, perché è una cosa che non ti aspetti è una cosa che succede assolutamente all'improvviso e fa buio di fronte a te, eppure questa favilla è piccolissima e luminosa e ti segna la strada e ti dice “guarda, quello che è stato fino a qua, basta, boom, è finito, cancellalo! Farà sempre parte di te, però tu ora non sei più questa cosa qua”. C’è una nuova via che parte, poi dove ti porterà tu non ti preoccupare, però vai e questa è stata è una cosa che mi emoziona tutt’ora, è la mia più grande favilla. E non è ancora Amsterdam, è l'anno prima, è l'inizio del percorso, è il momento in cui ti dici “ora puoi andare!”. È stato un momento per me assolutamente, non solo emozionante della mia vita ma scioccante! È stata una cosa che pensavo non sarebbe mai successa e un da un lato me la stavo chiamando no?!
La stavo attraendo a me, facendo altre cose, cercando comunque una strada.
Ero un po’ stanca di lavorare solo nel locale, sentivo che non era più il mio posto, come dicevo prima sentivo che ero destinata ad altro però essere destinata all'altro e soprattutto sentirlo senza avere niente in mano non è che una sensazione, alla fine. Poi, nel concreto da che parte parti? Però, c'è questa favilla che ci pensa lei e dice “Parti da qua!”.

Manuela: Esatto, è un po' come credere nell'invisibile no??
Guarda mi emoziona un po', perché io adoro proprio sentire questa cosa qua, questo momento questo insight, che effettivamente poi uno finisce con ricordarselo per anni e anni.
Sono sensazioni che non ti scordi tanto facilmente.

Lara: Esatto! Io credo non lo dimenticherò mai nella vita, cioè proprio un momento di turning point. E il cigno nero no? È quella cosa che pensi che non succederà mai e invece poi accade e ti cambia completamente la vita. Mi chiedo se ce ne possano essere altri in futuro.

Manuela: Ma io Lara penso di sì, credo che le faville siano un continuo divenire con la nostra crescita personale, se così vogliamo chiamarla ed evolvendo non facciamo altro che provocarne altre. Ogni qualvolta che dobbiamo dare un drastico scossone alla nostra vita, quindi, si!
Confido in nuove apparizioni!

Lara, esiste un errore che hai commesso al quale sarai per sempre grata?

Lara: Che bella domanda!
Potrebbe essere…essere rientrata, però te lo saprò dire tra qualche anno. (Lara ride)
Te lo saprò dire probabilmente quando mi suonerà e apparirà di fronte ai miei occhi la prossima favilla, lì, riuscirò a dirti se è stato giusto oppure no.
Perché comunque sono grata per il percorso di vita che mi sta facendo fare, per come sto crescendo, per le cose che sto imparando anche di me però diciamo che sono veramente appesa con due mani a quello che sono stata quando ero via e a quanto ho imparato quando ero via.

Manuela:Allora io tra un po’ di anni ti ri-inviterò, a questo podcast, e te lo richiederò! (Manuela e Lara ridono)

Lara, che cos'è per te la Body Positivity?

Lara:La Body Positivity è quella cosa che mi ha salvato.
Anche la Body Positivity l'ho conosciuta ad Amsterdam, perché c'era una fotografa tedesca, che faceva questo flash mob, questa iniziativa che si chiamava Bodylove.
Cercava sei ragazze a ognuna scriveva sulla pancia una lettera che va a comporre la parola Bodylove, che poi alla fine mi sarei tatuata su una coscia per dirti quanto poco è stato importante questo momento.
Quindi otto ragazze e non sei come ti avevo detto prima, ognuna con una lettera scritta sulla nostra pancia. Andiamo in piazza ad Amsterdam il 2 di dicembre con -2 gradi e ci spogliamo. Rimaniamo in mutande e reggiseno anche se faceva appunto freddissimo e sfiliamo in questa piazza per dimostrare che ogni corpo vale, che è il principio numero uno della Body Positivity.
E poi per affrontare la nostra più grande paura, far vedere i nostri corpi ed essere al centro dell'attenzione, con tutti che guardano la nostra cellulite, i nostri rotoloni sui fianchi e sulla pancia. Le nostre smagliature, corpi normali, che tantissime donne hanno ma che non vedi mai in giro. Non li vedi in televisione, non li vedi nei cartelloni pubblicitari.
E quindi la Body Positivity è quella cosa che ti dice che: tu sei assolutamente legittimata a voler cambiare il tuo corpo, ma il tuo diritto di esistere, di essere una persona felice vale a prescindere dal tuo corpo.

I diritti che il tuo corpo ha sono uguali a prescindere da ogni sua forma.
Ancora adesso assistiamo ad annunci di lavoro dove viene richiesta bella presenza, ancora adesso in certe catene le commesse devono tenere i capelli sciolti, anche qua mi perdonerai, se faccio lo stesso link col nostro corpo che deve essere strumento di seduzione perché con i capelli sciolti magari sono più carina, magari invito di più, sono più curata, sono l'immagine dell'azienda no? E quindi più sensuale, invito i clienti a comprare.

Questa cosa qui è la Body Positivity.
Dice che tu puoi fare il tuo lavoro esattamente come sei, il tuo corpo ha il diritto di dimagrire se vuole, o d’ingrassare se vuole, e tutta questa smania, se noi pensiamo solo alla Diet Culture e a quanti miliardi tutti gli anni le persone spendono mi sembra 70 milioni di dollari solo in negli Stati Uniti, per arrivare sempre più vicini a un modello di fisico perfetto, che poi non raggiungerai mai.
Perché oggi sono i chili, domani sono le rughe, dopodomani sono i capelli bianchi e dopodomani sei vecchia e c'è anche l’ageismo e quindi una donna non vale più niente se perde questo capitale sociale che è la bellezza.
E questa è cosa che cerca di scardinare la Body Positivity.

Tante volte è un movimento che viene frainteso me ne rendo conto scrivendone sui social.
Perché si pensa che sia l'inno all'essere grassi, questa cosa non lo è mai stata, cioè non c'è nessun inno all'obesità come dicono “Ehh voi promuovete l'obesità!”, questa cosa non esiste, noi promuoviamo i diritti delle persone, di qualunque forma essi siano, cerchiamo di scardinare gli stereotipi perché appunto, puoi essere in salute e puoi fare allenamento fisico e mangiare bene e puoi essere una persona grassa. Esiste questa cosa!
Prima accettiamo che abbiamo corpi diversi, che siamo nati con corpi diversi, meglio staremo.

Guarda, io per anni ho fatto diete, ho fatto tantissime diete nella mia vita e le ho fatte proprio per riuscire a lavorare perché non avevo mai visto una conduttrice del telegiornale grassa e quindi io cos’ero un unicorno? Cioè, non dovevo esistere? Ero grassa, ero in televisione, leggevo il TG, un TG locale e il mio direttore ebbe questa lungimiranza di fregarsene e di mettermi in video, cosa per la quale gli sono sempre stata grata, però ero io che non mi accettavo.
Perché da casa nel momento in cui mi riguardavo nelle repliche che facevano un'ora più tardi di quando io facevo la diretta ed ero dall'altra parte della seduta sul divano io dicevo “Ma quella roba lì, che tu vedi in video non sei mica tu! Quella roba lì non è mica giornalista, devi fare qualcosa per assomigliare a una giornalista!”. E quindi ho perso 14 kg in due mesi mangiando carciofi a colazione, facendo veramente un percorso difficile per il mio corpo e poi di conseguenza vivendo con una serie di sensi di colpa e di ansie d’ingrassare perché “oddio adesso che finalmente sono dimagrita” (e spoiler, tra l'altro manco ero magra alla fine della dieta, perché comunque il mio corpo non è mai stato il corpo di una donna magra, ma proprio di costituzione ma non lo sarò mai, ma va bene così!).

E che il ma va bene così è una cosa che mi dico da quando è arrivata nella mia vita la Body Positivity. E quindi tutta la teoria che altre donne prima di noi nere, femministe, negli anni 70’ hanno portato avanti per scardinare poi un problema che era molto più stratificato, era un problema anche di classismo.

Manuela: A un certo punto, dicevamo prima, sei tornata in Italia complice una proposta di lavoro come project manager a Sky e dove curi la tua rubrica Caro Corpo. La Body Positivity sembra essere il tuo sweet spot, il tema portante del lavoro che stai svolgendo oggi, parlavi però in questo argomento anni fa’ quando appunto eri ad Amsterdam e però non era l'unico argomento che trattavi, come hai scelto invece di concentrarti su questa battaglia?

Lara: Perché mi sono resa conto che in Italia c'era un estremo bisogno di parlare di questi temi mentre negli Stati Uniti mi pareva che il dibattito fosse un pochino più avanti grazie anche a dei personaggi iconici che hanno fatto veramente la storia nel cambiare lo stereotipo dell'immaginario e penso ad Ashley Graham, che è una modella curvy molto famosa soprattutto appunto in America. Penso al Lizzo che è più recente, che è una cantante afroamericana grassa, ed estremamente orgogliosa del suo corpo e molto amata dai suoi fan, e io non escludo che sia amata anche per questa ragione qui, perché per la prima volta una cantante che balla e canta sul palco e non ha nessun problema a farlo col corpo che ha. E lei non si mette a dieta per assomigliare a Beyoncé, lei semplicemente Lizzo. Fine, cioè lei è già quella cosa lì no?!
E quindi è una cosa molto bella. Prima parlavo di tanti temi e raccontavo anche tanto la mia vita lì com'era, nel momento in cui sono rientrata in Italia mi sono resa conto che è la mia battaglia in questo momento doveva parlare di corpi, doveva parlare di donne perché, comunque, la pressione sul corpo delle donne è più pesante lo sappiamo rispetto al corpo degli uomini.

Manuela: Pensi che qualcosa stia cambiando nella società? Vedi dei miglioramenti, dei cambiamenti?

Lara: Assolutamente sì, sono molto lenti e sono ostacolati da tanta gente che la pensa ancora alla vecchia maniera, però ho grandissima fiducia nelle nuove generazioni ti devo dire perché veramente sia nei temi del genere, sia nei temi dei corpi, i ragazzi giovani sono veramente veramente avanti, hanno già capito tutto senza che nessuno gli spieghi niente.
Le cose stanno cambiando in meglio sicuramente, perché ad esempio una rubrica come Caro Corpo che è quella che conduco per Sky io ti giuro non avrei mai pensato sarebbe stata una cosa possibile in Italia. E quindi ti lascio immaginare la mia immensa gioia quando il vicedirettore di Sky, Omar Schillaci mi propose questa rubrica e addirittura è lui che viene da me, vede la mia attività sui social, viene da me mi dice “perché non fai questa cosa per noi?”. E quindi lì veramente mi sono illuminata e ho detto ok! Allora ci siamo, allora le cose stanno un po’ cambiando perché se anche a Omar arriva questa cosa, e arriva come un vento di novità allora vuol dire che lo stiamo facendo nel modo giusto. Uso il plurale perché ovviamente in Italia siamo anche in tante che parlano di questi temi e anche da qua ti rendi conto che qualcosa sta cambiando, quando la tua voce non è più l'unica, e forse non è manco mai stata l'unica, ma hai altre compagne di lotta in questa cosa.

Manuela: Pensi che arriveremo mai un giorno a poter utilizzare la parola grasso come un semplice aggettivo qualificativo e l’opposto di magro e non come un termine denigratorio?

Lara: Io lo ripeto a ogni intervento che faccio, lo dico a tutti, mi qualifico come una persona grassa appunto per questa ragione qua che hai detto tu, perché è assolutamente solo un aggettivo qualificativo e non capisco perché magro è neutro e grasso deve essere quasi un insulto. E anche lo dico come consiglio ai genitori che me lo chiedono.
A volte capita che ci sono dei genitori che mi dicono “cosa dico a mio figlio che oggi è venuto a casa e che è stato bullizzato dall'amichetto che gli ha detto, sei grasso, e lui si è messo a piangere”. E la mia risposta è esattamente questa, che il bambino risponda “sì, sono grasso esattamente come tu hai gli occhi marroni o azzurri o sei alto o sei magro è una mia caratteristica fisica.” Cioè non c'è nient’altro secondo me da aggiungere, nel senso questa cosa del grasso come insulto, mi rendo conto che anche se io in presenza di altre persone dico “io sono grassa” le altre persone mi rispondono “ma no dai, non sei grassa” (lara ride), perché pensano che io stia abilitando il mio corpo e insultandolo io per prima in modo che gli altri non abbiano più la possibilità di farlo. No, questo è quello che loro pensano io stia facendo, io invece mi sto solo descrivendo esattamente così come sono.

Manuela: Come ha impattato l'attivismo su di te come donna?

Lara: Mi ha fatto amare me stessa molto di più. Io sarei una bugiarda se ti dicessi che non ci sono giorni in cui sono grasso fobica io per prima nei confronti del mio corpo. Perché poi la cosa assurda è questa: l’essere attivista non ti mette al riparo da un mondo grasso fobico.

Sono andata in farmacia qualche giorno fa, anzi un mesetto fa, a prendere una lozione
anti-zanzare, e il farmacista mi ha detto “io questa lozione non te la do perché sei in dolce attesa” ora io non sono incinta ed è esattamente quello che ho detto farmacista in quel momento ho detto “Io non sono incinta, questa è la mia pancia naturale” e gliel'ho detto ridendo.
La cosa che mi ha messo però molto in imbarazzo è stato il suo imbarazzo, del farmacista che poverino non sapeva più da che parte guardare e questa cosa l'ho vissuta molto male…questo episodio. Non è stato bello nel senso che comunque hai capito che la tua pancia arriva prima di te e parla per te soprattutto, parla in modo sbagliato però perché comunque non c'è niente dentro (Lara ride).

Essere attivista non ti mette al riparo dalle cose che ti possono succedere nella vita di tutti i giorni, ovviamente però ti fa’ amare il tuo corpo e ti fa’ guardare il tuo corpo con occhi completamente diversi, perché finalmente inizi a studiare.
Inizi a sentire le testimonianze di donne molto forti che parlano della Body Positivty, che decostruiscono il mito della bellezza legato al corpo femminile, che ti spiegano come cambiano i canoni della società sempre relativi alla bellezza femminile nel corso degli anni 50’, anni 70’. Perché in un certo momento storico vanno di moda le donne grasse, perché poi invece il l'idea, l'immaginario si rovescia completamente.

Manuela: Adesso è il momento delle Rapid Fire questions, domande a brucia pelo che mi piace fare agli ospiti al termine della nostra chiacchierata!
Allora, inizio.

Lara: Pronta!

Manuela: Il libro che ha cambiato tutto?

Lara: Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino, devo spiegare perché?

Manuela: Se vuoi si.

Lara: Perché è una serie di primi inizi, è un libro fatto tutto di prime pagine e quindi questo te la dice te la dice lunga su quanto possiamo cominciare a sbagliare, ricominciare sbagliare ed essere ogni volta una pagina di un libro diverso.

Manuela: Che bello questo va subito dritto nella reading list!

Il miglior consiglio che hai ricevuto nella tua vita o nella tua carriera?

Lara: Ce n'è uno al quale sono legatissima e che ogni tanto mi ripeto, me lo ha dato Gianni Riotta, grandissimo giornalista, ex direttore Rai Uno, eccetera.
Mi ha detto, “Lara non scegliere mai la strada più veloce, ma scegli sempre la strada più lunga e faticosa”.

Manuela: Che cosa c'è sul tuo comodino?

Lara: Sul mio comodino c'è una pietra che prendo in mano alla sera prima di dormire e alla quale affido i pensieri belli della giornata, le cose belle che ho vissuto e così ogni volta che sono triste vado nel comodino prendo in mano la pietra e mi tornano in mente tutte le cose belle che ogni sera le ho raccontato.

Manuela: Ma che bello!

Qual è l'ultima cosa che hai imparato?

Lara: La sto imparando, il potere dell’ozio. Il potere del non essere per forza produttiva sempre. Il potere di dire di no anche di fronte a una grande occasione o una bella opportunità.
Una cosa che magari ti sarebbe sempre piaciuto fare e a un certo punto te la chiedono ma tu senti che non è il tuo momento, che non hai voglia di mettere energia in quella cosa e pensi.
Il tuo sesto senso dice che forse ti dovresti concentrare su altro e allora dici, no!

Solo pochi mesi fa, non penso avrei avuto il coraggio di farlo, quindi sto imparando a rifiutare un po’ di cose senza più pensare che devo prendere per forza tutti i treni che passano per la stazione. Ora inizio a pensare che forse se sto nella panchina della stazione, senza voler prendere tutti i treni, magari riesco a respirare e a pensare bene dove voglio andare e magari prendere il treno giusto.

Manuela: Questa è una cosa bellissima che secondo me, che poi appunto quando viene imparata diventa poi un super potere.

Perché proprio il blu?

Lara: È il colore del cielo, prendi un aereo e parti e intorno hai solo blu.
È un colore che non ho avuto il coraggio di mettere addosso fino a quando non sono partita perché pensavo che a avere i capelli blu in ufficio…anzi, feci un colloquio di lavoro e avevo delle treccine blu in testa e la persona che doveva farmi il colloquio guardò una terza persona presente nella stanza e disse indicandomi “lei con quei capelli nel mio ufficio non entra!” e l'unico problema che avevano i miei capelli erano delle treccine blu. Le treccine blu in quel momento le tolsi ma quando partii mi feci per la prima volta i capelli blu che non ho mai più tolto e quando mi hanno richiamata per tornare in Italia con un lavoro io dissi testuali parole “io eccetto, se mi lasciate tenere i miei capelli blu”.

Manuela: Lara io ti ringrazio! È stata una chiacchierata preziosa e grazie per avere condiviso le tue esperienze in particolare ai lati più vulnerabili, tu questo lo fai spesso e credo che sia davvero molto bello!

Lara: Grazie Manuela, è stata una bellissima conversazione molto emozionante!

Take Away

Manuela: Da questa puntata mi porto a casa che a volte non sentirsi più di nessun luogo e quello che ci fa ritrovare chi siamo. Che ci fa fare le domande giuste e ci rivela molto di chi siamo disposti a diventare anche se nel mezzo abbiamo paura di cadere in un canale di Amsterdam e di mille altre piccole cose.

E vi ricordo che sul sito lefaville.com troverete link e informazioni utili riguardanti la conversazione con Lara, inoltre, vi aspetto sulla pagina Instagram delle faville per continuare a parlarne insieme.

Grazie e fino al prossimo episodio prendetevi cura di voi e occhio all'invisibile.
A presto

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