Parto da New York
Il pilot
La Favilla è quella cosa che a un certo punto sboccia, salta, nasce e ci spinge a cambiare, creare, distruggere, ricostruire e ripensare tutto. È quel momento preciso in cui sai cosa devi fare, non sai ancora come, ma cambierai. Le Faville, scintille, intuizioni in qualunque modo si vogliano chiamare sono il momento che dà inizio a storie uniche. Questo è il luogo in cui voglio celebrarle attraverso conversazioni libere con persone diverse tra loro e domandare come hanno riconosciute le loro faville, come le hanno ascoltate e in quale luogo si sono fatte portare. In questo episodio racconto la mia storia e come ho deciso di partire e andare a vivere a New York a ventotto anni.
Buon ascolto!
(^_^)
“Le Faville nasce dalla mia passione per l’osservazione dei cambiamenti. Li amo, li odio, li cerco, li temo e li procrastino.
Mi piace sentirne parlare, mi piace sentire le storie che raccontano la diversità più assoluta nel prendersi cura dei cambiamenti.”
— Manuela Roncon
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Benvenuti alla prima puntata del podcast Le Faville la serie dedicata a quel momento preciso in cui tutto sta per cambiare.
Le Faville nasce dalla mia passione per l’osservazione dei cambiamenti.
Li amo, li odio, li cerco, li temo e li procrastino, mi piace sentirne parlare, mi piace sentire le storie che raccontano la diversità più assoluta nel prendersi cura dei cambiamenti.
Ogni volta mi stupisco di come ognuno di noi possa essere creativo a riguardo e di come gli eventi creino ostacoli e soluzioni che generano direzioni inaspettate.La favilla però non è l’atto del cambiamento, la favilla è una sensazione.
Una scintilla, che improvvisamente ti balza in testa e cambia tutto, sbaraglia tutte le convinzioni che avevamo fino a quel momento e non possiamo tornare indietro allo stato mentale precedente, possiamo solo ascoltarla e andare in direzione di questa favilla oppure possiamo scegliere d’ignorarla.Io sono Manuela e questo podcast è la mia personale indagine sul quel momento e sulle conseguenze.
Da oggi incontrerò persone e chiacchiereremo insieme di questo argomento attraverso conversazioni libere da particolari canovacci.
Lo scopo di questo podcast è parlarne apertamente, senza storie perfette o instagrammabili. Raccontare il facile e il difficile, le farfalle nello stomaco e la paura fottuta, senza preoccuparci di dove il racconto andrà a finire.
Questa è la storia della mia favilla.
È il 2011 e sono a Torino e domani prenderò il mio primo volo intercontinentale, Torino-Roma Roma-New York.
Non ho mai volato oltre oceano prima, e una volta atterrata passerò un mese intero in questa nuova città che ho scelto di visitare a lungo, da sola senza nessuno con cui condividere l’itinerario.
La sveglia suonerà alle 5:30, io sono in camera mia sveglia da un pezzo a sistemare le ultime cose e a chattare con la proprietaria della camera che ho preso in affitto si Airbnb a Brooklyn, che domani scoprirò essere la stanza più pulciosa che io abbia mai visto.
La sveglia suona e un po’ di ansia inizia a salire “sarà davvero una buona idea questo viaggio? Forse dovrei restare a casa e concentrarmi sul lavoro” e anche frasi tipo “Ehi mamma, magari non parto più?” E la sua risposta “ci siamo alzate alle cinque e mezza, certo che parti”.
Chiudo la valigia con il necessario, i vestiti, la moka Bialetti, un Iphone 3 di seconda mano di mio fratello, un libro sul perché noi esseri umani procrastiniamo e un cartoncino stampato da me con su i numeri di primo soccorso americani e del consolato italiano a New York giusto in caso di disastro.
Arriva in fretta l’ora di andare in aeroporto, fuori e buio e salgo in macchina.
Sto per partire per un viaggio che poi non è mai terminato e che mi vede ancora oggi qui a Brooklyn.
Ma quando è scoppiata la Favilla?
Bisogna tornare al 2003 verso la fine del mio ultimo anno di università, quando mi sorprendo sempre di più a pensare a come sarebbe bello poter lavorare in una città come New York.
Immagino spesso in questi anni a come sarebbe lavorare all’estero.
L’idea di trovarmi un contesto sconosciuto, d’impregnare le mie giornate di differenti culture e abitudini e scoprire sapori diversi. Nel mio mondo immaginario, che è certamente in posto il cui passo più tempo, un posto come New York era il sogno super eccitante.Ma torno alla realtà in fretta, davanti a me ho opportunità concrete, un internship in un’agenzia che diventa poi un lavoro da junior designer, un fidanzato, gli amici, e con grande facilità metto da parte la favilla, anche se sento chiaramente che in quella fantasia c’è qualcosa di potentissimo.
Passano alcuni anni, io continuo a lavorare nella stessa agenzia per poi iniziare un percorso da freelance. Il clima lavorativo ed economico di questi anni non aiuta, le agenzie nella mia città si stanno scontrando con lo shock del digitale. Sanno che esiste ma non hanno la più pallida idea di come muoversi in mezzo, ci troviamo quindi tutti in una grande autopista a sbattere l’uno contro l’altro. La mia città si trasforma in un grande lamento. Per tutti, tutto sembra troppo complicato da portare avanti e io non faccio che pensare a quanto vorrei vivere i miei vent’anni in un contesto diverso.
Attraverso conferenze Europee sul design e su internet assaggio un po’ di quello che stanno facendo fuori dall’Italia e sono sempre più incuriosita dall’approccio e dalla innovazione che sembra proliferare ovunque.
Scelgo di prendere in affitto uno spazio in un co-working a Torino, dove c’è un passaggio molto vario, un ambiente dove non ci sono solo designer o pubblicitari, alcuni membri sono stranieri oppure Italiani che lavorano anche per l’estero, la voglia di partire torna a farsi sentire.
Nel co-working incontro un’architetta torinese che lavora per la Columbia a New York e un’altra architetta che sta per andare a fare un dottorato in Inghilterra, un car designer svedese che lavora in Italia per una nota casa automobilistica che ha voglia di spendere alcune ore a chiacchierare in inglese con me per aiutarmi a esercitami. Improvvisamente diventa chiaro che la cosa giusta da fare è partire.
Osservo questa gente sviluppare i loro progetti quando siamo in cucina dentro al co-working e gli ascolto parlare e i loro progetti sono influenzati da ambienti in cui le cose funzionavano in maniera completamente diversa, e questo ha un sapore irresistibile.
“Questa sensazione voglio provarla anche io, io devo partire.” Penso.
Arriva quindi il momento di fare un piano.
Un piano folle a ripensarci:
Voglio andare a New York per un mese e vedere che cosa succede. Che cosa succede alla mia vita, che cosa succede al mio lavoro, che cosa succede, punto.
Inizio a pensare a che attrezzi ho nello zaino:
ho un’inglese molto scolastico, ma ho la scusa che vado li per impararlo,
ho 28 anni, non sono una ragazzina ma devo ancora imparare tante cose,
non conosco nessuno a New York.In realtà poi ho scoperto di avere un’amica di università che viveva li che è stato un prezioso aiuto.
Muoio dalla voglia di vedere se è vero che la fuori tutto funziona meglio e
voglio vedere effetto fa’ andare a vedere.
L’unica soluzione è partire subito prima che qualche altro evento “concreto” mandi di nuovo tutto all’aria.
Arriva quindi il giorno della partenza, e anche l’arrivo in questa città, inizia così un viaggio lungo dieci anni, almeno per ora.
A questa favilla devo tutto, mi ha dato l’opportunità di fare viaggio un surreale, irriverente e scomodo e sicuramente mai deludente.
Ho lasciato il panico alle 5:30 di quel mattino e ho iniziato a essere pragmatica.
Ho apprezzato la solitudine e la compagnia, il casino e il silenzio e l’imprevedibilità di questa esperienza.
Ho imparato che ci sono cose che sappiamo fare benissimo ma non sappiamo ancora di saperle fare, che l’Italia è preziosa, e che la diversità è tutto quello che mi serve per non invecchiare, che ascoltare è meglio che parlare, che gli amici sono la famiglia che ti scegli (questa frase è un luogo comune, ma ci sarà pure un motivo se i luoghi comuni sono sempre affollati come dice qualcuno) e che se voglio veramente qualcosa e sono pronta a pianificarla e ad accettare di prendermi carico e cura di tutti gli steps del piano anche e sopratutto di quelli meno eccitanti, otterrò le cose che desidero.
Magari di questo viaggio potremmo parlare nel dettaglio anche in altri episodi ma il punto però non è se questo viaggio sia stato un successo o meno il punto è il non essere ancora lì a pensare a come sarebbe potuto essere.
Questo è per me il concetto di favilla quella sensazione in cui è cambiato qualcosa dentro di te e non puoi tornare indietro al pensiero precedente. Sai che ti stai per immergere in un bagno di delirio con l’acqua altissima, ma non puoi trattenerti dall’entrarci.
E ho imparato che quando una favilla mi terrorizza probabilmente è proprio quella che devo ascoltare.
Quando alcuni pensieri balzano in testa, non importa quanto tu cerchi di distrarti, loro torneranno.
Una scritta sui muri, una frase di un amico, una scena di un film, un podcast.
Questo podcast, è nato con le stesse dinamiche, l’idea è nata nel 2018, in mezzo ci si sono messe mille cose, impegni, doveri, paure, corsi, la sindrome dell’impostore e anche provare a fare finta che non fosse poi così importante. Ma per fortuna come tutte le faville, non è andata da nessuna parte.
E poi la vera delizia per me è sentire le storie degli altri, io non vedo l’ora.
Se siete curiosi anche voi, non perdetevi il secondo episodio.
Nell’info box del podcast trovate il link al sito e all’account di Instagram dove potere raggiungermi per approfondimenti.
Ciao e grazie per essere stati qui con me.