Comfort food
e altre storie
Mariachiara Montera
Quante cose di noi, di chi siamo e di chi siamo stati possiamo raccontare attraverso il cibo? Io e Mariachiara Montera, ne parliamo in questo undicesimo episodio. Insieme abbiamo chiacchierato di comfort food e di stazioni che ti riportano a casa, di foglie di limone della costiera amalfitana, di briciole che danno vita a progetti intensi, di cibo cinese e di case fatte di burro e di come essere visti può generare scenari inaspettati.
Buon Ascolto
(^_^)
“Però è stato il primo momento in cui ho capito quanto fosse rinvigorente lasciar andare qualcosa di sé e insieme quanto fosse incredibile toccare le corde emotive delle persone che sentendosi toccate in qualche modo restituiscono qualcosa rispetto a quel tocco”.
— Mariachiara Montera
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Mariachiara è consulente di comunicazione, copywriter, content creator, foodwriter, formatrice e host dei podcast Lingua e Guscio esclusivi Storytel.
Mariachiara è autrice di Non dipende da te edito Einaudi e Sugo edito
da Blackie Edizioni. Da molti anni racconta storie attraverso il cibo online
e offline.
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Foto: Vanessa Vettorello
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“Parlavo di quello che succede nella vita delle persone quando si lasciano, cosa succede nelle proprie cucine, nelle proprie abitudini culinarie, nella propria dispensa.”
Benvenuti a nuovo episodio del podcast “Le Faville” la serie dedicata a quel momento preciso in cui sentiamo che tutto sta per cambiare. La favilla è quella cosa che a un certo punto sboccia, salta, nasce e ci spinge a cambiare, creare, distruggere, ricostruire e ripensare ogni cosa. In questo spazio voglio celebrare le faville di persone molto diverse tra loro. Farmi raccontare come le hanno ascoltate e in quale luogo si sono fatte portare, attraverso conversazioni organiche e libere.
Ciao a tutte, tutti e tutt*,
in questo episodio chiacchieremo con Mariachiara Montera.
Mariachiara è consulente di comunicazione, content creator, foodwriter, formatrice e Podcast Host.
L’ho conosciuta ascoltando il suo podcast Lingua, che trovate su Storytel, un podcast che ho amato e riascoltato.
Attraverso il cibo Mariachiara sa raccontare storie che rimettono in sesto.
Ha questa abilità di riconnettermi con emozioni che ho già provato da qualche parte nel passato o magari poco prima.La sua newsletter Conserve è un’altra splendida coccola mensile che non mi perdo mai.
Mariachiara lavora con le parole e con il cibo e insegna a farlo anche agli altri,
professionisti del settore e non attraverso le sue Food Masterclass,E anche attraverso Estratti, altro suo progetto di mentoring.
Insieme abbiamo parlato di comfort food e di stazioni che ti riportano a casa,
di foglie di limone della costiera amalfitana, di briciole che danno vita a progetti intensi, di cibo cinese e case fatte di burro e di come essere visti può generare scenari inaspettati.Buon Ascolto!
Manuela: Ciao Maria Chiara, che bello averti qui!
Mariachiara: Grazie!
Manuela: Sentirti raccontare il cibo attraverso Conserve e attraverso Lingua, il tuo podcast originali Storytel, è stato per me come sedermi per un attimo dall'altra parte del bancone di Vianne Rocher in Chocolat e ho finito per ascoltare tutte le puntate in una sera. Tra l'altro Lingua, è stato il primo podcast che ho riascoltato, ad essere sincera è successo anche con Conserve, perché i tuoi racconti hanno diverse note e sfumature e riascoltarli mi aiuta a coglierle tutte meglio.
Con te vorrei chiacchierare di cibo e di storie e di come si racconta una storia attraverso il cibo. Quindi inizierei dalla prima domanda, cosa ti ha spinto a raccontare il cibo per lavoro?
Mariachiara: Posso dirti grazie prima di tutto!
Poi questa che l’hai riascoltato Conserve, non sei la prima persona che me l'ha detto. Forse perché in effetti, nell'arco narrativo di un episodio breve, perché alla fine conserve sono dieci minuti mentre Lingua erano forse venti-trenta minuti condensi veramente tantissime cose che poi toccano corde emotive diverse.
Quindi è molto bello che le persone lo riascoltino, insomma è una cosa di cui sono veramente contenta.
Cosa mi ha spinto…allora, vorrei dirti la risposta più semplice forse sarebbe mia nonna, ma in effetti non è stata mia nonna a spingermi a raccontare, a utilizzare il cibo però di sicuro mi ha insegnato quanto è importante raccogliere le persone intorno a un tavolo e quante cose possono succedere intorno a un tavolo.
Quindi lei in qualche modo mi ha insegnato a stare bene intorno a una tavola, il che non è scontato; quindi, per questo comunque io la ringrazio.
Però in realtà a me la passione per il cibo è venuta in età adulta, una certa passione per il cibo, ed è arrivata con il potere economico di pagare delle cene importanti in ristoranti molto belli.
Perché nella mia famiglia non si usciva quasi mai fuori a cena, credo come tantissime famiglie, adesso non lo so, però andavo a mangiare che ne so la pizza il sabato sera, ma non sempre, si andava a mangiare fuori in occasioni come la comunione, il battesimo, però niente di particolarmente ricercato.
Ogni tanto andavo in Costiera Amalfitana a mangiare del pesce, quello sì.
Manuela: Beh!
Mariachiara: (Mariachiara ride) Non mi lamento però era una cosa rara, non comune non ricercata, e appunto frequentavamo ristoranti quasi quotidiani, ma sicuramente non stellati, sicuramente non con una ricerca.
Ma forse era anche un'epoca diversa io ho 42 anni, quando avevo 10 anni era il; quindi, forse c'erano pochi stellati o comunque poca curiosità per quel genere di ristorazione.
Quando ho compiuto 25 anni, 26 anni ho cominciato a guadagnare dei soldi.
Gli ho investiti subito in creme, quello si, e in ristoranti, in cene e pranzi fuori a Milano dove abitavo ma anche a Torino, in giro per l'Italia.
Poi ho fatto anche un viaggio di nozze qualche anno dopo, nozze che non esistono più, nel senso che il matrimonio che non esiste più, però il viaggio di nozze è stato incredibile! Perché avevamo fatto diversi ristoranti stellati in giro per l'Italia, quindi c'era quella curiosità lì, e secondo me avere accesso a quel tipo di cibo…non è necessariamente il potersi permettere il lusso tutti i giorni, però io ricordo che risparmiavo tantissimo e mi concedevo quell'esperienza lì, risparmiando sul vino (e quindi venendo trattati come clienti di serie B) però dicevo, che mi concedo che ne so, un pranzo da Bottura, una cena da Scabin, cioè ristoranti che avevano 1-2 stelle, oppure che facevano un certo tipo di ricerca gastronomica.
Quella cosa lì, uno mi ha permesso di coltivare l'aspettativa per il cibo, che è una cosa che forse ho avuto ma era una aspettativa sia a livello di pancia che a livello di testa. Perché comunque, come dire, l'alta ristorazione non è necessariamente migliore però è più complessa, e quella complessità è fatta diversi elementi, che finché non la frequenti non conosci. Quindi hai il brivido dell'ignoto, hai la curiosità, hai l'aspettativa e anche il timore, quando stai investendo dei soldi in qualcosa che ancora non conosci.
Mangiare in quel tipo di ristoranti a me ha dato una scossa, mi ha fatto venire voglia di vivere il cibo come esplorazione, come un’avventura.
Mi ha trasmesso di più la cultura del cibo, e anche la cultura dei lavori dietro al il cibo.
In un piatto, soprattutto in un ristorante appunto magari un po’ ricercato, detti vedi di quante cose composto un piatto.
Non c'è soltanto l'idea, ma c'è il territorio, c'è la ricerca, c'è la cultura, c'è lo studio, ci sono delle motivazioni che ti spingono a fare un certo tipo di piatto piuttosto che un altro.
Mi ha dato tantissimi stimoli che mi è venuta voglia d’indagare.
La voglia di entrare più a contatto e di conoscere meglio il cibo mi è venuta da un certo tipo di ristorazione e anche, insieme a quella, da Internet.
Ho aperto il primo blog nel 2006, quindi una vita fa, e l'ho aperto nel momento in cui in Italia ad avere un blog di cucina, di gastronomia eravamo forse in dieci.
Io l'ho fatto perché l'ho visto fare da persone che abitavano nel resto del mondo e che parlavano del cibo come qualcosa di incredibile, straordinario, che per noi italiani invece almeno allora era la cosa più scontata che ci fosse.
E quindi questa capacità di raccontare il cibo forse l'ho sentita un po’ mia, o l'ho voluta fare un po’ mia. E quindi ho cominciato a scrivere prima per il mio blog, poi per alcune testate, a organizzare eventi perché mi piaceva, come dire, mettere insieme e creare connessioni nel mondo gastronomico.
Diciamo che è stato un percorso.
In diverse fasi della mia, in diverse età della mia vita, il cibo è stato uno specchio di alcuni desideri legati a me come donna, come direbbe bisogni identitari, e dall'altra parte dei bisogni legati alla crescita professionale e personale.
Nel corso degli anni di sicuro si è legato a una mia ostinazione personale
e una mia attitudine, inclinazione che è quella di cercare qualcosa di insolito in quello che abbiamo sotto gli occhi, è una cosa che io provo a fare in diverse sfere e forse nel cibo ho più voglia di farlo che in altre.
Manuela: Come nasce la tua newsletter audio Conserve?
Mariachiara: È nata in un momento in cui non sapevo più dove mettere alcune storie. Che poi è sempre stata un po’ la molla che mi ha portato a esplorare certi canali rispetto ad altri magari, alcuni canali inusuali.
Sai quando hai l'esigenza, adesso dico l'esigenza creativa, però proprio l'esigenza di far uscire qualcosa e dargli una forma e anche farlo ascoltare o comunque farlo conoscere a qualcun altro? Quindi per me Conserve è nato da quel desiderio lì.
Dalla voglia di raccontare delle storie intime legate al cibo mie personali; quindi, con Lingua avevo esplorato storie di altri, avevo cominciato con la mia e avevo esplorato storie di altri. Volevo raccontare qualcosa di mio e in una modalità che arrivasse alle persone nella maniera più diretta e toccante possibile e l'audio in questo è un grandissimo alleato. Quindi mi è venuta voglia di provare a fare e dare a questo desiderio una forma di progetto abbastanza strutturato, sia perché son fatta così, cioè nel senso che quando mi viene un'idea io devo vederla realizzata dalla A alla Z, finalizzata, comunicata quindi, cerco come dire di dare sempre una tridimensionalità molto strutturata alle cose che mi vengono in mente.Perché ho proprio un fastidio fisico verso le idee un po’ vaghe, e una roba che credo tante persone che hanno attitudini un po’ creative hanno quell'ossessione a dire “ok, ho quest'idea, qual è il passo successivo? Qual è il passo successivo?
Voglio che sia migliore, voglio che sia così, eccetera eccetera e finché non trovi la forma che ti soddisfi. Dall'altra parte ho pensato di realizzare un progetto che fosse anche spendibile e vendibile quindi, con l'idea di farlo sponsorizzare, quindi l'idea della newsletter con il contenuto audio ma anche la parte testuale, con dei link eccetera aveva anche quella finalità lì, cosa che non è successa ma come tanti progetti personali ti apre comunque a opportunità più indirette, quindi di contatti, persone che vedono cosa hai fatto e quindi ti chiamano per farlo, eccetera, eccetera, eccetera.
Quindi Conserve è nata in questo modo, poi in realtà è un progetto che sai quando hai quelle idee, quelle briciole che hai a fianco a te, che però non hanno una forma è però sono ancora lì a fianco? Poi le ritrovi, poi sembra che abbiano una forma diversa e poi quando è il momento giusto, quindi quando hai anche le energie giuste raggruppi un po’ quelle briciole e gli dai una forma sensata per te e per gli altri?
Conserve è stato ed è ancora un po’ questa cosa qui, questa voglia di raccontare delle storie un po’ intime attraverso il filo narrativo del cibo, che è un po’ anche l'esplorazione di un genere, l'esplorazione di una forma, di un modo diverso di fare podcast.
È anche un po’ una scommessa.
Manuela: Come la capisco la situazione delle briciole!
(Mariachiara e Manuela ridono)
Assolutamente!
Mariachiara: Eh ma si…cioè potevamo nascere ingegneri, ma non siamo nati ingegneri!
Manuela: no…assolutamente.
Qual è stata fino a oggi la tua più grande favilla?
Mariachiara: Allora chi non mi conosce, immagino tante persone, non sa che il mio più grande talento è quello di raccontare i fatti miei, in maniera interessante però ecco!
(Mariachiara e Manuela ridono)
Non è sempre stato così, nel senso che fino a poco meno di dieci anni fa sono sempre stata una persona molto piena di paletti, recinti rispetto all'attitudine di condividere qualcosa di sé. Credo che abbia a che fare con un’educazione familiare in cui non si raccontano i fatti propri, anche rispetto all'educazione culturale in cui però insomma, i social non esistevano ancora e anche un po’ rispetto a uno scarso desiderio di essere vista. Perché poi, quando racconti qualcosa di tuo, quando lo condividi mostri un pezzo di te e quel pezzo di te diventa degli altri in qualche modo no? Diventa visibile, diventa giudicabile e di quella cosa lì non ne avevo tantissima voglia.
Non avevo quell'attitudine lì, poi è successo che ho divorziato, avevo un blog prima del divorzio col mio ex marito, che poi è diventato un mio blog personale.
Sai quando ci si divide le cose no? Tu hai il cane, io mi tengo le posate, il blog è mio! Quindi mi sono tenuta il blog e i gatti, e quel blog è diventato diciamo un mezzo un po’ più professionale, ma di nuovo non sapevo dove mettere alcune cose, alcune storie, alcune cose che volevo raccontare e avevo aperto un profilo su Medium, dove scrivevo qualcosa che assomigliava a dei racconti, qualcosa che assomigliava a degli sfoghi diciamo. Avevo cominciato a scrivere qualcosa di me e stavo un po’ allenando il muscolo dell'intimità, ecco, mettiamola così. Finché in quel profilo Medium pubblicato una carrellata dei fatti miei, ho scritto un pezzo diciamo di auto fiction, in cui parlavo di quello che succede nella vita delle persone quando si lasciano, e cosa succede nelle proprie cucine, nelle proprie abitudini culinarie, nelle proprie abitudini di spesa e nella propria dispensa. Era un pezzo che io volevo proporre a Internazionale, poi non l'ho mai fatto, però era lì, ci tornavo lo rifinivo ed era come dire un bel malloppo emotivo da sganciare in maniera pubblica.
Quindi l'ho lasciato un po’ lì finché l'ho pubblicato e quando l'ho pubblicato sono stata inondata di messaggi, è stato un pezzo letto…boh…proprio da tantissimi, ma tantissimi proprio da migliaia di persone, ed era una reazione che io non mi aspettavo assolutamente. Però è stato il primo momento in cui ho capito quanto fosse rinvigorente lasciar andare qualcosa di sé e insieme quanto fosse incredibile toccare le corde emotive delle persone che sentendosi toccate in qualche modo restituiscono qualcosa rispetto a quel tocco. I messaggi che ho ricevuto, tutte le mail che ho ricevuto, sono state occasioni di scambio con delle persone che io non conoscevo e so che magari può sembrare una cosa scontata per tante persone ma per me in quel momento non lo era per niente.
Soprattutto non pensavo che essere vista potesse generare qualcosa di positivo.
Quindi ho pensato, vabbè dai magari ci posso riprovare! E ci ho riprovato.
Manuela: Ma che bello! E qui di nuovo ritorna indietro il discorso delle briciole di prima no? Per essere pronti a fare qualcosa appunto bisogna essere pronti, e per pronti una persona pensa che ci debba essere dietro tutta una serie di preparazioni tecniche no? Quando invece a volte per essere pronti sono ben altre le cose che devono allinearsi di noi stessi.
Mariachiara: Sì…e credo che la frase se vuoi puoi sia l'ultima cosa in cui credo nella mia vita, cioè anzi la detesto e la combatto, perché penso che parli di un privilegio che non tutti si possono permettere e dall'altra parte penso che se c'è una motivazione a fare qualcosa e quella motivazione continui a sotterrarla rispetto alla paura di non fare le cose abbastanza per bene, oppure rispetto al timore che quella cosa lì ti porti in un vicolo cieco o ti renda giudicabile magari dalla cerchia delle persone che hai intorno, quella motivazione lì marcisce e fa marcire una parte di te e non fa bene veramente a nessuno. Quindi piuttosto se c'è qualcosa che proprio si vuole tirare fuori, che lo si tiri fuori, anche in maniera grezza, poi non è detto che debba portare da qualche parte io ho la fissazione del dall'idea al progetto, però non è che si deve essere per forza finalizzare tutto.
Forse viviamo in un'epoca in cui abbiamo perso il gusto di fare le cose per farle o di tirare fuori, non lo so, dei pennelli dal cassetto, di provare a fare una ricetta, di provare a scrivere qualcosa per il gusto di farlo. Quindi non è che dobbiamo sempre andare da qualche parte, anzi. Poi io sono la prima che non ci riesce eh?
Ogni tanto sarebbe bello riuscirci!
Manuela: È assolutamente così, alcune cose sono solo parte del processo, del viaggio. A volte bisogna farle per abbandonarle proprio perché ci hanno insegnato qualcosa, ci hanno insegnato cosa non ci piace. Però è vero, non è sempre facile.
Mariachiara la tua dispensa cosa dice di te oggi?
Mariachiara: Allora vorrei rispondere proprio come una volta ho sentito in un negozio in cui c'era una ragazza che era a dieta, ma invece di dire che era a dieta, aveva detto “sono in una fase di transizione” e io volevo abbracciarla tantissimo, perché era un modo incredibile di dire questa cosa che io non avevo mai sentito.
Mah, in questo momento in effetti sono un po’ in una fase di transizione, nel senso che per me la dispensa, diciamo la cucina è sempre stato il modo che io ho avuto di mantenere il controllo, da una parte c'è sicuramente una ricerca del piacere, cioè mi piace cucinare, mi piace mangiare e così via però dall'altra parte trovo molta sicurezza nell'organizzazione e nel sapere che in dispensa, nel frigo ho qualcosa che domani mi potrà nutrire, consolare o altro.
Quindi la mia cucina sicuramente non è il luogo dell'imprevisto, perché è una cosa che io temo tantissimo l’imprevisto e la cucina lo racconta molto bene questo timore.
Cioè, io ho tutto, ho tutto in caso di non so carestia! Ho tutto in caso di guerra, ho tutto, tutto! Ho dodici pacchi pasta, il freezer pieno, tutto organizzato, insomma un territorio felice e contento però anche altamente controllato, ecco, mettiamola così.
In questo momento questa cosa mi sembra che abbia meno peso rispetto a tanti altri periodi della mia vita, non lo so, perché non so se è una cosa buona ho una cosa cattiva, però per adesso è questa cosa qui.
L'altra cosa che invece racconta la mia dispensa e che amo il burro! Cioè ecco…è il mio credo, il mio ingrediente del cuore, lo mangio a pezzi, questa è una cosa che quando la raccontavo alla mia dietista e mi diceva “ok, adesso però proviamo a fare altro!”.
Insomma, vorrei vivere, cos'è la casa di Hansel e Gretel che era fatta di marzapane?
Io lo vorrei lì, grazie di un burro un po’ salato.
(Mariachiara e Manuela ridono)
Manuela: Eh…immagino che poi non sia difficile amare il burro a Torino, perché insomma, agnolotti burro e salvia…
Mariachiara: Eh… sì, pane burro e acciughe.
Poi considera che io sono campana, io non ho mai visto il burro a casa.
Mia mia nonna aveva la sugna, che cos'è lo strutto?
Manuela: si lo strutto.
Mariachiara: Ma non c'era una via di mezzo tra lo strutto e l’olio; quindi, in realtà si usava soltanto l’olio. Poi io vengo da un paese che si chiama Olivano!
Manuela: Ah ok, ciao!
Mariachiara: Esatto, quindi ciao! Quindi quando io sono venuta, man mano al nord, cioè Bologna insomma, poi ho vissuto a Milano e Torino…non so il mio fidanzato ogni tanto mette il burro ne sugo…non so se la è la civiltà però è un posto che mi piace ecco! Mettiamola così!
(Mariachiara e Manuela ridono)
Manuela: Come si scrive una lettera d'amore all'olio? Tu ne hai scritta una e mi piacerebbe sapere come è nata?
Mariachiara: Allora, questo è qualcosa che ogni tanto mi capita d’insegnare, quando racconto qualcosa che ha a che fare con la scrittura legata al cibo e cioè che per rendere interessante il cibo devi coinvolgere tutti quanti sensi.
Le persone possono vedere una foto, possono vedere un video, che trasmette in qualche modo la consistenza, trasmette per esempio la vista, ma quello che è la mistura di tutte queste cose; quindi, la mistura di tutti quanti i sensi e come gli evochi attraverso la scrittura rendono un cibo davvero appetibile.
Perché le persone riescono a immaginarsi la relazione che potrebbero avere con quegli ingredienti o quel piatto come se lo avessero davanti, come se fossero nella stessa stanza, nella stessa cucina, alla stessa tavola con te.
Quindi quando ho scritto quella lettera all'olio ho provato un po’ a immaginarmi quali fossero gli elementi sensoriali che potevo coinvolgere nella scrittura e quindi l'ho scritta in questo modo. Perché se racconti soltanto un lato, oppure se dai degli aggettivi tipo buono, favoloso, meraviglioso, gnam gnam le persone possono riempire quegli aggettivi nel modo in cui credono, che non è lo stesso che tu magari vuoi evocare o trasmettere.
Quanto più riesci a evocare in maniera precisa tutti quanti i sensi, quanto più le persone che leggono quello che tu hai scritto si sentiranno coinvolte nelle immagini che tu vuoi trasmettere e quell'immagine magari e dell'olio su una fetta di pane caldo, però la devi un po’ colorare.
Manuela: E anche molto intensa anche l'idea di farlo, io l'ho adorata!
Qual è stata la peggiore decisione che hai preso nel tuo lavoro?
Mariachiara: È difficile rispondere a questa domanda perché io sono una persona che proprio non ha rimpianti, nel senso che anche le cose più terribili che ho fatto, che ho sbagliato eccetera, un po’ tendo a dimenticarle, quindi per esempio non ho rancori, non ho rimpianti, ma perché mi dimentico un sacco di cose, che è una cosa molto positiva per me, per il mio karma.
(Manuela e Mariachiara ridono)
E dall'altra parte poi impari un po’ da tutto.
Se c'è una cosa che forse, ecco, tornando indietro non farei o comunque farei in maniera diversa è aprire una casa editrice, cosa che ho fatto nel 2018 mi sembra…però ho aperto una casa editrice di guide gastronomiche senza un business plan solidissimo. Questa cosa si è vista nel corso del tempo perché poi l'ho chiusa.
Quindi ci ho perso dei soldi mi ha portato tanto in termini di contatti ora ho imparato tantissimo sull’editing, su come funziona l'editoria eccetera eccetera, ma avrei voluto non perdere dei soldi, quello sì.
Ho provato a fare un qualcosa che secondo me funzionava ma senza avere un'idea molto precisa di dove andare a mirare, visto che una cosa è provare ad avere un’idea e portarla a compimento, che ne so, su un contenuto, un progettino, una piccola idea imprenditoriale, un'altra cosa che è quando vuoi creare una vera e propria azienda.
Però non si diventa imprenditori per istinto ma per mestiere e quel mestiere lì non era il mio. Ho guadagnato tantissimo in termini di contatti ma avrei voluto farla in maniera diversa, quello sì.
Manuela: E questo ha portato dei benefici a quello che poi è venuto dopo?
Mariachiara: Allora, si! In realtà è una bellissima domanda perché “Ciao, sono Mariachiara e sono perfezionista”.
(Manuela e Mariachiara ridono)
Quindi, chiudere qualcosa che non ha funzionato? Prendendosi comunque delle responsabilità rispetto al fatto che non ha funzionato e cercare di non ostinarsi rispetto a quella cosa che non funziona per la paura di dire “ho fatto qualcosa che hanno funzionato”?
È stata una grande lezione al punto di vista del fallisci, fallisci, fallisci meglio c’era sicuramente un modo di diverso di dirlo ma è quella roba lì, cioè il venire a patti con qualcosa che non ha funzionato, per responsabilità per meriti e per demeriti personali e capire che quel fallimento, quella chiusura di un'attività non comporta nessuna fine del mondo, cosa incredibile…incredibile! Non pensavo che sarebbe stato così, mi aspettavo schegge di vergogna, fulmini di giudizi soprattutto detti da me stessa e invece sono sopravvissuta alla mia parte giudicante.
Quindi è stata una cosa buona perché secondo me nel tempo mi ha aiutato a valutare un po’ meglio se iniziare o se entrare a fondo in altre attività, e anche ad alleggerire il processo del tirarsi fuori rispetto a cose che non funzionano.
Manuela: Cosa mangi quando ti senti spaesata?
Mariachiara: Ah…facilissimo! Vado al ristorante cinese.
Io sono una persona migrante, quindi sono nata in una regione, poi ho vissuto in altre tre regioni ho cambiato undici o dodici case.
Ho provato a vivere in altre due o tre città rispetto a quelle in cui ho vissuto, ho fatto la pendolare; quindi, ho molta familiarità con le stazioni e con i ristoranti intorno alle stazioni, che molto spesso sono un ristorante di cucina cinese.
All'inizio è stato, invece di tornare a casa, per me era tornare nella stazione della città in cui in quel momento abitavo e cercare un ristorante per trovare un po’ di tregua, e molto spesso quei ristoranti sono stati i ristoranti di cucina cinese, finché quella cosa lì poi è diventata la ricerca di quei piatti, per trovare quella tregua anche quando poi ho smesso di viaggiare.
Quindi per me la cucina cinese è la cucina della tregua mentale.
Manuela: Assolutamente…cosa c'è di più comfort food del cibo cinese?
Mariachiara: (Mariachiara ride)…si!
Manuela: Se avessi potuto scoprire tu un ingrediente, quale avresti voluto scoprire?
Mariachiara: Ah…sarò una persona molto semplice, il limone!
Non so se vale come risposta.
Manuela: Vale vale!
Mariachiara: Secondo me i limoni sono una gioia del mondo, uno degli ingredienti che cambiano tutti quanti piatti, dalla buccia al succo. Valorizzano diversi tipi di cucine, sono il simbolo del limonare che è la cosa più bella del mondo, le foglie sono praticamente una pratica di mindfulness…e io li amo. Nei dolci, nei salati, per me è un ingrediente proprio feticcio, feticcio!
Poi vabbè, appunto, io sono nata in Campagna, la costiera amalfitana, eccetera eccetera, eccetera…quindi c'è anche quella parte sentimentale.
Manuela: Se potessi fare un viaggio con uno chef o con qualcuno che ritieni geniale ai fornelli, chi sarebbe? E dove andreste?
Mariachiara: Allora…anche questa è un'altra bellissima domanda, maledizione!
Ti posso dire due nomi?
Manuela: Assolutamente!
Mariachiara: Ok, allora, io farei dei viaggi con due cuochi, una donna un uomo, che mi permettono di esplorare geografie che non conosco.
Mi piacerebbe scoprire attraverso un viaggio con loro da dove arrivano gli ingredienti che poi mettono nel piatto, fare un po’ un viaggio al contrario no?
Quindi la prima sarebbe Rosio Sanchez (@sanchezrosio) che è una cuoca messicana che lavora a Copenaghen, ha lavorato il Noma, adesso ha aperto diversi ristoranti di street food, ma anche ristoranti un po’ più elaborati di cucina messican.
Lei ha una conoscenza d’ingredienti surreale, quello mi piacerebbe tantissimo, esplorare il Messico con lei, per capire la cultura di un posto che conosco pochissimo, proprio pochissimo e mi piacerebbe farlo con qualcuno che guarda alla natura, ai mercati con l'occhio della cucina. Appunto il famoso sguardo insolito su quello che è quotidiano e quindi lei sarebbe la prima. Il secondo è Franco Pepe (@francopepeingrani), un pizzaiolo campano. Perché la Campagna io la conosco pochissimo, perché sono andata via che avevo diciotto anni e quindi sai, conosci il tuo paese, conosci la tua città se sei di una città, conosci le gite della domenica ma non è che esplori la regione, almeno io con i miei non è che l'avessi esplorata tantissimo.
Lui, mi sembra che sia una provincia di Benevento, ma non ne sono sicura comunque lui è campano. Nella sua pizzeria inserisce diversi prodotti, persone della regione, diciamo c'è una strettissima collaborazione tra il suo ristorante e i contadini produttori della zona; quindi, mi piacerebbe tantissimo esplorare la ragione che non conosco, perché è la mia, ma non la conosco, con gli occhi di qualcuno che cucina, e in questo caso che cucina una pizza che è incredibile.
Manuela: Poi comunque alla fine finiamo sempre con l'esplorare mai la nostra regione, la diamo sempre un pochino per scontata. Almeno io parlo per me.
Mariachiara: Eh sì, ma è così guarda, poi vabbè io anche il Piemonte stesso, guarda io l'ho esplorato tanto negli ultimi due anni di pandemia e con un fidanzato piemontese, sennò prima, era “ma andiamo un po’ più lontano” ma perché, non lo so, le cose più vicine ti sembrano sempre un po’ meno interessanti, dice vabbè ma ci posso andare quando voglio eccetera, eccetera, eccetera. Quindi sì capisco benissimo questa cosa.
Manuela: Condividere le storie sul cibo, ha cambiato ulteriormente il tuo rapporto con il cibo stesso?
Mariachiara: Mi ha portata a prestare più attenzione a quello che provo mentre succedono alcune cose, perché penso “forse questa cosa vale la pena che io la ricordi, e che magari io la racconti”.
Normalmente quando mangiamo qualcosa, a meno che non sia un cibo memorabile, tendiamo no… a dimenticarcelo. Non tutte le esperienze le segniamo e con la voglia di continuare a raccontare le storie sul cibo, sicuramente quando succedono delle cose, quando ho delle sensazioni, oppure quando durante una cena vengono pronunciate certe parole riguardo il cibo, tendo a segnarmelo in maniera…diciamo non sempre fisica, nel senso, non è che prendo appunti (capita di prendere appunti, quello sì) provo a trattenerle di più, ecco.
Manuela: Una volta hai detto “i mestieri oggi sono costellazioni e bisogna guardarle un po’ da lontano e oltre per arrivare più in su”. Come sei arrivata a questa conclusione?
Mariachiara: Ah, credo come tutti i millennial all'ascolto.
(Manuela e Mariachiara ridono)
Rendendomi conto che i percorsi lineari sono un miraggio che non esiste più, eppure sono un'idea con cui siamo stati cresciuti, in qualche modo anche ingabbiati, credo rispetto a “studia per fare questo lavoro” per ottenere, anzi nemmeno per ottenere questa vita, cioè l'obiettivo era il tipo di lavoro, tipo di vantaggio, posizionamento, benefici che ti dava l'avere una certa definizione all'interno del mercato lavorativo.
E quindi credo che siamo stati un po’, almeno io sono stata cresciuta con l'idea di “vai, dritto, corri verso l'obiettivo. Quando ci arrivi ti fermi e stai lì, lì fermo in quel posto, lì sei diventato adulto” ma col cavalo che i percorsi sono questa cosa qui.
Che i lavori sono questa cosa qui, quella frase lì, l'ho scritta e l'ho pensata in un momento in cui mi sono accorta che perdendomi, lasciando quella strada dritta e percorrendo dieci vie laterali, alla fine unendo queste vie laterali non sto ancora ferma, e sono su una strada che anche se è dissestata, è molto più divertente, molto più personale, molto più interessante rispetto a quella che mi ero prospettata e mi si era stata prospettata.
Quindi è una visione molto più sfaccettata di quello è che il rapporto tra professione e tipo di vita, forse anche una scelta rispetto a cosa far venire prima.
Il lavoro disegna la vita che tu fai, no?
Manuela: Assolutamente!
Mariachiara: Gli orari, i colleghi, l'essere pendolare, il tipo di stipendio, è veramente un qualcosa di molto centrale. Avendo fatto esperienza in tanti ambiti, in azienda, in agenzia da freelance, da pendolare, da persona in qualche modo col posto fisso e poi nel pieno dell'instabilità, mi sono accorta di quanto sia importante preservare una qualità della vita a cui il lavoro è una risposta, cioè io voglio questa vita e quindi mi preparo a fare questo tipo di lavoro. Il lavoro per me non viene prima in questo momento, cioè viene prima rispetto alla voglia di realizzare i miei progetti personali, quello sì. Ma è molto, molto, molto, molto, molto più importante pensare di trovare un equilibrio mio, in cui il lavoro è una funzione di questo equilibrio. Ci si prova, non sempre ci si riesce, però ci si prova.
Manuela: Adesso è il momento delle Rapid Fire Questions, che solitamente sono tutte uguali per tutt* gli ospit*, la cosa divertente è proprio vedere le differenze tra le risposte.
Il libro che è cambiato tutto?
Mariachiara: Simple di Ottolenghi, mi ha cambiato il modo di cucinare le verdure.
Manuela: Eh, ci credo che abbia cambiato tutto, perché le verdure sono il sale della vita, io le adoro.
Mariachiara: Esatto!
Manuela: Il migliore consiglio che hai ricevuto nella tua vita o nella tua carriera? Scegli pure tu.
Mariachiara: Apri un secondo conto.
Manuela: Già!
Mariachiara: Proprio imbattibile! Nessun consiglio è stato migliore di questo.
Spostare i soldi con cui devi pagare le tasse…via, ciao, non li vedi più.
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
Manuela: Sacrosanto! Cosa c'è sul tuo comodino?
Mariachiara: In questo momento c'è un libro di Pollan che si chiama Il dilemma dell'onnivoro che non credo riuscirò mai a finire, sempre crema mani e crema piedi, e sempre un pannetto per gli occhiali che una delle mie duecentoventisette ossessioni.
Manuela: Su cosa generalmente le persone si sbagliano su di te?
Mariachiara: Pensano che io non mi arrabbi quasi mai, invece mi arrabbio abbastanza spesso.
Manuela: Qual è l'ultima cosa che hai imparato?
Mariachiara: Qual è la lunghezza sensata per un romanzo.
Mariachiara che belle cose ci siamo dette, io ti ringrazio proprio tanto.
Mariachiara: Grazie a te, e grazie a chiunque abbia ascoltato e ascolterà questa puntata, queste chiacchiere, perché anche per me sono state molto, molto, molto belle.
Quindi grazie.
Take Away
Da questo episodio mi porto a casa che raccontare le emozioni è complicato,
ma anche facile quando si parte da se stessi. Che il cibo è un rifugio ma anche controllo e che la condivisione di se e del cibo ci cambia un po’ ogni volta
avvicinandoci sempre di più agli altri e a ciò che siamo davvero.
Potete trovare Mariachiara su Instagram come @maricler, mentre sul Mariachiaramontera.it potete trovare la newsletter Conserve e l’accesso alle sue Masterclass. E se ascoltate me non perdetevi Lingua, che potete trovare su @Storitel che è splendido.
Io vi ringrazio per essere stati qui con me e fino al prossimo episodio vi auguro di assaporare ogni boccone!
Ci sentiamo due Mercoledì.
Ciao e a presto!
Le Faville è un podcast scritto e prodotto da me, Manuela Roncon.
Se ti è piaciuto questo episodio supporta Le Faville iscrivendoti alla pagina Instagram, lascia una recensione sulle piattaforme di podcast da cui hai ascoltato questo episodio.“Parlavo di quello che succede nella vita delle persone quando si lasciano, cosa succede nelle proprie cucine, nelle proprie abitudini culinarie, nella propria dispensa.”
Benvenuti a nuovo episodio del podcast “Le Faville” la serie dedicata a quel momento preciso in cui sentiamo che tutto sta per cambiare. La favilla è quella cosa che a un certo punto sboccia, salta, nasce e ci spinge a cambiare, creare, distruggere, ricostruire e ripensare ogni cosa. In questo spazio voglio celebrare le faville di persone molto diverse tra loro. Farmi raccontare come le hanno ascoltate e in quale luogo si sono fatte portare, attraverso conversazioni organiche e libere.
Ciao a tutte, tutti e tutt*,
in questo episodio chiacchieremo con Mariachiara Montera.
Mariachiara è consulente di comunicazione, content creator, foodwriter, formatrice e Podcast Host.
L’ho conosciuta ascoltando il suo podcast Lingua, che trovate su Storytel, un podcast che ho amato e riascoltato.
Attraverso il cibo Mariachiara sa raccontare storie che rimettono in sesto.
Ha questa abilità di riconnettermi con emozioni che ho già provato da qualche parte nel passato o magari poco prima.La sua newsletter Conserve è un’altra splendida coccola mensile che non mi perdo mai.
Mariachiara lavora con le parole e con il cibo e insegna a farlo anche agli altri,
professionisti del settore e non attraverso le sue Food Masterclass,E anche attraverso Estratti, altro suo progetto di mentoring.
Insieme abbiamo parlato di comfort food e di stazioni che ti riportano a casa,
di foglie di limone della costiera amalfitana, di briciole che danno vita a progetti intensi, di cibo cinese e case fatte di burro e di come essere visti può generare scenari inaspettati.Buon Ascolto!
Manuela: Ciao Maria Chiara, che bello averti qui!
Mariachiara: Grazie!
Manuela: Sentirti raccontare il cibo attraverso Conserve e attraverso Lingua, il tuo podcast originali Storytel, è stato per me come sedermi per un attimo dall'altra parte del bancone di Vianne Rocher in Chocolat e ho finito per ascoltare tutte le puntate in una sera. Tra l'altro Lingua, è stato il primo podcast che ho riascoltato, ad essere sincera è successo anche con Conserve, perché i tuoi racconti hanno diverse note e sfumature e riascoltarli mi aiuta a coglierle tutte meglio.
Con te vorrei chiacchierare di cibo e di storie e di come si racconta una storia attraverso il cibo. Quindi inizierei dalla prima domanda, cosa ti ha spinto a raccontare il cibo per lavoro?
Mariachiara: Posso dirti grazie prima di tutto!
Poi questa che l’hai riascoltato Conserve, non sei la prima persona che me l'ha detto. Forse perché in effetti, nell'arco narrativo di un episodio breve, perché alla fine conserve sono dieci minuti mentre Lingua erano forse venti-trenta minuti condensi veramente tantissime cose che poi toccano corde emotive diverse.
Quindi è molto bello che le persone lo riascoltino, insomma è una cosa di cui sono veramente contenta.
Cosa mi ha spinto…allora, vorrei dirti la risposta più semplice forse sarebbe mia nonna, ma in effetti non è stata mia nonna a spingermi a raccontare, a utilizzare il cibo però di sicuro mi ha insegnato quanto è importante raccogliere le persone intorno a un tavolo e quante cose possono succedere intorno a un tavolo.
Quindi lei in qualche modo mi ha insegnato a stare bene intorno a una tavola, il che non è scontato; quindi, per questo comunque io la ringrazio.
Però in realtà a me la passione per il cibo è venuta in età adulta, una certa passione per il cibo, ed è arrivata con il potere economico di pagare delle cene importanti in ristoranti molto belli.
Perché nella mia famiglia non si usciva quasi mai fuori a cena, credo come tantissime famiglie, adesso non lo so, però andavo a mangiare che ne so la pizza il sabato sera, ma non sempre, si andava a mangiare fuori in occasioni come la comunione, il battesimo, però niente di particolarmente ricercato.
Ogni tanto andavo in Costiera Amalfitana a mangiare del pesce, quello sì.
Manuela: Beh!
Mariachiara: (Mariachiara ride) Non mi lamento però era una cosa rara, non comune non ricercata, e appunto frequentavamo ristoranti quasi quotidiani, ma sicuramente non stellati, sicuramente non con una ricerca.
Ma forse era anche un'epoca diversa io ho 42 anni, quando avevo 10 anni era il; quindi, forse c'erano pochi stellati o comunque poca curiosità per quel genere di ristorazione.
Quando ho compiuto 25 anni, 26 anni ho cominciato a guadagnare dei soldi.
Gli ho investiti subito in creme, quello si, e in ristoranti, in cene e pranzi fuori a Milano dove abitavo ma anche a Torino, in giro per l'Italia.
Poi ho fatto anche un viaggio di nozze qualche anno dopo, nozze che non esistono più, nel senso che il matrimonio che non esiste più, però il viaggio di nozze è stato incredibile! Perché avevamo fatto diversi ristoranti stellati in giro per l'Italia, quindi c'era quella curiosità lì, e secondo me avere accesso a quel tipo di cibo…non è necessariamente il potersi permettere il lusso tutti i giorni, però io ricordo che risparmiavo tantissimo e mi concedevo quell'esperienza lì, risparmiando sul vino (e quindi venendo trattati come clienti di serie B) però dicevo, che mi concedo che ne so, un pranzo da Bottura, una cena da Scabin, cioè ristoranti che avevano 1-2 stelle, oppure che facevano un certo tipo di ricerca gastronomica.
Quella cosa lì, uno mi ha permesso di coltivare l'aspettativa per il cibo, che è una cosa che forse ho avuto ma era una aspettativa sia a livello di pancia che a livello di testa. Perché comunque, come dire, l'alta ristorazione non è necessariamente migliore però è più complessa, e quella complessità è fatta diversi elementi, che finché non la frequenti non conosci. Quindi hai il brivido dell'ignoto, hai la curiosità, hai l'aspettativa e anche il timore, quando stai investendo dei soldi in qualcosa che ancora non conosci.
Mangiare in quel tipo di ristoranti a me ha dato una scossa, mi ha fatto venire voglia di vivere il cibo come esplorazione, come un’avventura.
Mi ha trasmesso di più la cultura del cibo, e anche la cultura dei lavori dietro al il cibo.
In un piatto, soprattutto in un ristorante appunto magari un po’ ricercato, detti vedi di quante cose composto un piatto.
Non c'è soltanto l'idea, ma c'è il territorio, c'è la ricerca, c'è la cultura, c'è lo studio, ci sono delle motivazioni che ti spingono a fare un certo tipo di piatto piuttosto che un altro.
Mi ha dato tantissimi stimoli che mi è venuta voglia d’indagare.
La voglia di entrare più a contatto e di conoscere meglio il cibo mi è venuta da un certo tipo di ristorazione e anche, insieme a quella, da Internet.
Ho aperto il primo blog nel 2006, quindi una vita fa, e l'ho aperto nel momento in cui in Italia ad avere un blog di cucina, di gastronomia eravamo forse in dieci.
Io l'ho fatto perché l'ho visto fare da persone che abitavano nel resto del mondo e che parlavano del cibo come qualcosa di incredibile, straordinario, che per noi italiani invece almeno allora era la cosa più scontata che ci fosse.
E quindi questa capacità di raccontare il cibo forse l'ho sentita un po’ mia, o l'ho voluta fare un po’ mia. E quindi ho cominciato a scrivere prima per il mio blog, poi per alcune testate, a organizzare eventi perché mi piaceva, come dire, mettere insieme e creare connessioni nel mondo gastronomico.
Diciamo che è stato un percorso.
In diverse fasi della mia, in diverse età della mia vita, il cibo è stato uno specchio di alcuni desideri legati a me come donna, come direbbe bisogni identitari, e dall'altra parte dei bisogni legati alla crescita professionale e personale.
Nel corso degli anni di sicuro si è legato a una mia ostinazione personale
e una mia attitudine, inclinazione che è quella di cercare qualcosa di insolito in quello che abbiamo sotto gli occhi, è una cosa che io provo a fare in diverse sfere e forse nel cibo ho più voglia di farlo che in altre.
Manuela: Come nasce la tua newsletter audio Conserve?
Mariachiara: È nata in un momento in cui non sapevo più dove mettere alcune storie. Che poi è sempre stata un po’ la molla che mi ha portato a esplorare certi canali rispetto ad altri magari, alcuni canali inusuali.
Sai quando hai l'esigenza, adesso dico l'esigenza creativa, però proprio l'esigenza di far uscire qualcosa e dargli una forma e anche farlo ascoltare o comunque farlo conoscere a qualcun altro? Quindi per me Conserve è nato da quel desiderio lì.
Dalla voglia di raccontare delle storie intime legate al cibo mie personali; quindi, con Lingua avevo esplorato storie di altri, avevo cominciato con la mia e avevo esplorato storie di altri. Volevo raccontare qualcosa di mio e in una modalità che arrivasse alle persone nella maniera più diretta e toccante possibile e l'audio in questo è un grandissimo alleato. Quindi mi è venuta voglia di provare a fare e dare a questo desiderio una forma di progetto abbastanza strutturato, sia perché son fatta così, cioè nel senso che quando mi viene un'idea io devo vederla realizzata dalla A alla Z, finalizzata, comunicata quindi, cerco come dire di dare sempre una tridimensionalità molto strutturata alle cose che mi vengono in mente.Perché ho proprio un fastidio fisico verso le idee un po’ vaghe, e una roba che credo tante persone che hanno attitudini un po’ creative hanno quell'ossessione a dire “ok, ho quest'idea, qual è il passo successivo? Qual è il passo successivo?
Voglio che sia migliore, voglio che sia così, eccetera eccetera e finché non trovi la forma che ti soddisfi. Dall'altra parte ho pensato di realizzare un progetto che fosse anche spendibile e vendibile quindi, con l'idea di farlo sponsorizzare, quindi l'idea della newsletter con il contenuto audio ma anche la parte testuale, con dei link eccetera aveva anche quella finalità lì, cosa che non è successa ma come tanti progetti personali ti apre comunque a opportunità più indirette, quindi di contatti, persone che vedono cosa hai fatto e quindi ti chiamano per farlo, eccetera, eccetera, eccetera.
Quindi Conserve è nata in questo modo, poi in realtà è un progetto che sai quando hai quelle idee, quelle briciole che hai a fianco a te, che però non hanno una forma è però sono ancora lì a fianco? Poi le ritrovi, poi sembra che abbiano una forma diversa e poi quando è il momento giusto, quindi quando hai anche le energie giuste raggruppi un po’ quelle briciole e gli dai una forma sensata per te e per gli altri?
Conserve è stato ed è ancora un po’ questa cosa qui, questa voglia di raccontare delle storie un po’ intime attraverso il filo narrativo del cibo, che è un po’ anche l'esplorazione di un genere, l'esplorazione di una forma, di un modo diverso di fare podcast.
È anche un po’ una scommessa.
Manuela: Come la capisco la situazione delle briciole!
(Mariachiara e Manuela ridono)
Assolutamente!
Mariachiara: Eh ma si…cioè potevamo nascere ingegneri, ma non siamo nati ingegneri!
Manuela: no…assolutamente.
Qual è stata fino a oggi la tua più grande favilla?
Mariachiara: Allora chi non mi conosce, immagino tante persone, non sa che il mio più grande talento è quello di raccontare i fatti miei, in maniera interessante però ecco!
(Mariachiara e Manuela ridono)
Non è sempre stato così, nel senso che fino a poco meno di dieci anni fa sono sempre stata una persona molto piena di paletti, recinti rispetto all'attitudine di condividere qualcosa di sé. Credo che abbia a che fare con un’educazione familiare in cui non si raccontano i fatti propri, anche rispetto all'educazione culturale in cui però insomma, i social non esistevano ancora e anche un po’ rispetto a uno scarso desiderio di essere vista. Perché poi, quando racconti qualcosa di tuo, quando lo condividi mostri un pezzo di te e quel pezzo di te diventa degli altri in qualche modo no? Diventa visibile, diventa giudicabile e di quella cosa lì non ne avevo tantissima voglia.
Non avevo quell'attitudine lì, poi è successo che ho divorziato, avevo un blog prima del divorzio col mio ex marito, che poi è diventato un mio blog personale.
Sai quando ci si divide le cose no? Tu hai il cane, io mi tengo le posate, il blog è mio! Quindi mi sono tenuta il blog e i gatti, e quel blog è diventato diciamo un mezzo un po’ più professionale, ma di nuovo non sapevo dove mettere alcune cose, alcune storie, alcune cose che volevo raccontare e avevo aperto un profilo su Medium, dove scrivevo qualcosa che assomigliava a dei racconti, qualcosa che assomigliava a degli sfoghi diciamo. Avevo cominciato a scrivere qualcosa di me e stavo un po’ allenando il muscolo dell'intimità, ecco, mettiamola così. Finché in quel profilo Medium pubblicato una carrellata dei fatti miei, ho scritto un pezzo diciamo di auto fiction, in cui parlavo di quello che succede nella vita delle persone quando si lasciano, e cosa succede nelle proprie cucine, nelle proprie abitudini culinarie, nelle proprie abitudini di spesa e nella propria dispensa. Era un pezzo che io volevo proporre a Internazionale, poi non l'ho mai fatto, però era lì, ci tornavo lo rifinivo ed era come dire un bel malloppo emotivo da sganciare in maniera pubblica.
Quindi l'ho lasciato un po’ lì finché l'ho pubblicato e quando l'ho pubblicato sono stata inondata di messaggi, è stato un pezzo letto…boh…proprio da tantissimi, ma tantissimi proprio da migliaia di persone, ed era una reazione che io non mi aspettavo assolutamente. Però è stato il primo momento in cui ho capito quanto fosse rinvigorente lasciar andare qualcosa di sé e insieme quanto fosse incredibile toccare le corde emotive delle persone che sentendosi toccate in qualche modo restituiscono qualcosa rispetto a quel tocco. I messaggi che ho ricevuto, tutte le mail che ho ricevuto, sono state occasioni di scambio con delle persone che io non conoscevo e so che magari può sembrare una cosa scontata per tante persone ma per me in quel momento non lo era per niente.
Soprattutto non pensavo che essere vista potesse generare qualcosa di positivo.
Quindi ho pensato, vabbè dai magari ci posso riprovare! E ci ho riprovato.
Manuela: Ma che bello! E qui di nuovo ritorna indietro il discorso delle briciole di prima no? Per essere pronti a fare qualcosa appunto bisogna essere pronti, e per pronti una persona pensa che ci debba essere dietro tutta una serie di preparazioni tecniche no? Quando invece a volte per essere pronti sono ben altre le cose che devono allinearsi di noi stessi.
Mariachiara: Sì…e credo che la frase se vuoi puoi sia l'ultima cosa in cui credo nella mia vita, cioè anzi la detesto e la combatto, perché penso che parli di un privilegio che non tutti si possono permettere e dall'altra parte penso che se c'è una motivazione a fare qualcosa e quella motivazione continui a sotterrarla rispetto alla paura di non fare le cose abbastanza per bene, oppure rispetto al timore che quella cosa lì ti porti in un vicolo cieco o ti renda giudicabile magari dalla cerchia delle persone che hai intorno, quella motivazione lì marcisce e fa marcire una parte di te e non fa bene veramente a nessuno. Quindi piuttosto se c'è qualcosa che proprio si vuole tirare fuori, che lo si tiri fuori, anche in maniera grezza, poi non è detto che debba portare da qualche parte io ho la fissazione del dall'idea al progetto, però non è che si deve essere per forza finalizzare tutto.
Forse viviamo in un'epoca in cui abbiamo perso il gusto di fare le cose per farle o di tirare fuori, non lo so, dei pennelli dal cassetto, di provare a fare una ricetta, di provare a scrivere qualcosa per il gusto di farlo. Quindi non è che dobbiamo sempre andare da qualche parte, anzi. Poi io sono la prima che non ci riesce eh?
Ogni tanto sarebbe bello riuscirci!
Manuela: È assolutamente così, alcune cose sono solo parte del processo, del viaggio. A volte bisogna farle per abbandonarle proprio perché ci hanno insegnato qualcosa, ci hanno insegnato cosa non ci piace. Però è vero, non è sempre facile.
Mariachiara la tua dispensa cosa dice di te oggi?
Mariachiara: Allora vorrei rispondere proprio come una volta ho sentito in un negozio in cui c'era una ragazza che era a dieta, ma invece di dire che era a dieta, aveva detto “sono in una fase di transizione” e io volevo abbracciarla tantissimo, perché era un modo incredibile di dire questa cosa che io non avevo mai sentito.
Mah, in questo momento in effetti sono un po’ in una fase di transizione, nel senso che per me la dispensa, diciamo la cucina è sempre stato il modo che io ho avuto di mantenere il controllo, da una parte c'è sicuramente una ricerca del piacere, cioè mi piace cucinare, mi piace mangiare e così via però dall'altra parte trovo molta sicurezza nell'organizzazione e nel sapere che in dispensa, nel frigo ho qualcosa che domani mi potrà nutrire, consolare o altro.
Quindi la mia cucina sicuramente non è il luogo dell'imprevisto, perché è una cosa che io temo tantissimo l’imprevisto e la cucina lo racconta molto bene questo timore.
Cioè, io ho tutto, ho tutto in caso di non so carestia! Ho tutto in caso di guerra, ho tutto, tutto! Ho dodici pacchi pasta, il freezer pieno, tutto organizzato, insomma un territorio felice e contento però anche altamente controllato, ecco, mettiamola così.
In questo momento questa cosa mi sembra che abbia meno peso rispetto a tanti altri periodi della mia vita, non lo so, perché non so se è una cosa buona ho una cosa cattiva, però per adesso è questa cosa qui.
L'altra cosa che invece racconta la mia dispensa e che amo il burro! Cioè ecco…è il mio credo, il mio ingrediente del cuore, lo mangio a pezzi, questa è una cosa che quando la raccontavo alla mia dietista e mi diceva “ok, adesso però proviamo a fare altro!”.
Insomma, vorrei vivere, cos'è la casa di Hansel e Gretel che era fatta di marzapane?
Io lo vorrei lì, grazie di un burro un po’ salato.
(Mariachiara e Manuela ridono)
Manuela: Eh…immagino che poi non sia difficile amare il burro a Torino, perché insomma, agnolotti burro e salvia…
Mariachiara: Eh… sì, pane burro e acciughe.
Poi considera che io sono campana, io non ho mai visto il burro a casa.
Mia mia nonna aveva la sugna, che cos'è lo strutto?
Manuela: si lo strutto.
Mariachiara: Ma non c'era una via di mezzo tra lo strutto e l’olio; quindi, in realtà si usava soltanto l’olio. Poi io vengo da un paese che si chiama Olivano!
Manuela: Ah ok, ciao!
Mariachiara: Esatto, quindi ciao! Quindi quando io sono venuta, man mano al nord, cioè Bologna insomma, poi ho vissuto a Milano e Torino…non so il mio fidanzato ogni tanto mette il burro ne sugo…non so se la è la civiltà però è un posto che mi piace ecco! Mettiamola così!
(Mariachiara e Manuela ridono)
Manuela: Come si scrive una lettera d'amore all'olio? Tu ne hai scritta una e mi piacerebbe sapere come è nata?
Mariachiara: Allora, questo è qualcosa che ogni tanto mi capita d’insegnare, quando racconto qualcosa che ha a che fare con la scrittura legata al cibo e cioè che per rendere interessante il cibo devi coinvolgere tutti quanti sensi.
Le persone possono vedere una foto, possono vedere un video, che trasmette in qualche modo la consistenza, trasmette per esempio la vista, ma quello che è la mistura di tutte queste cose; quindi, la mistura di tutti quanti i sensi e come gli evochi attraverso la scrittura rendono un cibo davvero appetibile.
Perché le persone riescono a immaginarsi la relazione che potrebbero avere con quegli ingredienti o quel piatto come se lo avessero davanti, come se fossero nella stessa stanza, nella stessa cucina, alla stessa tavola con te.
Quindi quando ho scritto quella lettera all'olio ho provato un po’ a immaginarmi quali fossero gli elementi sensoriali che potevo coinvolgere nella scrittura e quindi l'ho scritta in questo modo. Perché se racconti soltanto un lato, oppure se dai degli aggettivi tipo buono, favoloso, meraviglioso, gnam gnam le persone possono riempire quegli aggettivi nel modo in cui credono, che non è lo stesso che tu magari vuoi evocare o trasmettere.
Quanto più riesci a evocare in maniera precisa tutti quanti i sensi, quanto più le persone che leggono quello che tu hai scritto si sentiranno coinvolte nelle immagini che tu vuoi trasmettere e quell'immagine magari e dell'olio su una fetta di pane caldo, però la devi un po’ colorare.
Manuela: E anche molto intensa anche l'idea di farlo, io l'ho adorata!
Qual è stata la peggiore decisione che hai preso nel tuo lavoro?
Mariachiara: È difficile rispondere a questa domanda perché io sono una persona che proprio non ha rimpianti, nel senso che anche le cose più terribili che ho fatto, che ho sbagliato eccetera, un po’ tendo a dimenticarle, quindi per esempio non ho rancori, non ho rimpianti, ma perché mi dimentico un sacco di cose, che è una cosa molto positiva per me, per il mio karma.
(Manuela e Mariachiara ridono)
E dall'altra parte poi impari un po’ da tutto.
Se c'è una cosa che forse, ecco, tornando indietro non farei o comunque farei in maniera diversa è aprire una casa editrice, cosa che ho fatto nel 2018 mi sembra…però ho aperto una casa editrice di guide gastronomiche senza un business plan solidissimo. Questa cosa si è vista nel corso del tempo perché poi l'ho chiusa.
Quindi ci ho perso dei soldi mi ha portato tanto in termini di contatti ora ho imparato tantissimo sull’editing, su come funziona l'editoria eccetera eccetera, ma avrei voluto non perdere dei soldi, quello sì.
Ho provato a fare un qualcosa che secondo me funzionava ma senza avere un'idea molto precisa di dove andare a mirare, visto che una cosa è provare ad avere un’idea e portarla a compimento, che ne so, su un contenuto, un progettino, una piccola idea imprenditoriale, un'altra cosa che è quando vuoi creare una vera e propria azienda.
Però non si diventa imprenditori per istinto ma per mestiere e quel mestiere lì non era il mio. Ho guadagnato tantissimo in termini di contatti ma avrei voluto farla in maniera diversa, quello sì.
Manuela: E questo ha portato dei benefici a quello che poi è venuto dopo?
Mariachiara: Allora, si! In realtà è una bellissima domanda perché “Ciao, sono Mariachiara e sono perfezionista”.
(Manuela e Mariachiara ridono)
Quindi, chiudere qualcosa che non ha funzionato? Prendendosi comunque delle responsabilità rispetto al fatto che non ha funzionato e cercare di non ostinarsi rispetto a quella cosa che non funziona per la paura di dire “ho fatto qualcosa che hanno funzionato”?
È stata una grande lezione al punto di vista del fallisci, fallisci, fallisci meglio c’era sicuramente un modo di diverso di dirlo ma è quella roba lì, cioè il venire a patti con qualcosa che non ha funzionato, per responsabilità per meriti e per demeriti personali e capire che quel fallimento, quella chiusura di un'attività non comporta nessuna fine del mondo, cosa incredibile…incredibile! Non pensavo che sarebbe stato così, mi aspettavo schegge di vergogna, fulmini di giudizi soprattutto detti da me stessa e invece sono sopravvissuta alla mia parte giudicante.
Quindi è stata una cosa buona perché secondo me nel tempo mi ha aiutato a valutare un po’ meglio se iniziare o se entrare a fondo in altre attività, e anche ad alleggerire il processo del tirarsi fuori rispetto a cose che non funzionano.
Manuela: Cosa mangi quando ti senti spaesata?
Mariachiara: Ah…facilissimo! Vado al ristorante cinese.
Io sono una persona migrante, quindi sono nata in una regione, poi ho vissuto in altre tre regioni ho cambiato undici o dodici case.
Ho provato a vivere in altre due o tre città rispetto a quelle in cui ho vissuto, ho fatto la pendolare; quindi, ho molta familiarità con le stazioni e con i ristoranti intorno alle stazioni, che molto spesso sono un ristorante di cucina cinese.
All'inizio è stato, invece di tornare a casa, per me era tornare nella stazione della città in cui in quel momento abitavo e cercare un ristorante per trovare un po’ di tregua, e molto spesso quei ristoranti sono stati i ristoranti di cucina cinese, finché quella cosa lì poi è diventata la ricerca di quei piatti, per trovare quella tregua anche quando poi ho smesso di viaggiare.
Quindi per me la cucina cinese è la cucina della tregua mentale.
Manuela: Assolutamente…cosa c'è di più comfort food del cibo cinese?
Mariachiara: (Mariachiara ride)…si!
Manuela: Se avessi potuto scoprire tu un ingrediente, quale avresti voluto scoprire?
Mariachiara: Ah…sarò una persona molto semplice, il limone!
Non so se vale come risposta.
Manuela: Vale vale!
Mariachiara: Secondo me i limoni sono una gioia del mondo, uno degli ingredienti che cambiano tutti quanti piatti, dalla buccia al succo. Valorizzano diversi tipi di cucine, sono il simbolo del limonare che è la cosa più bella del mondo, le foglie sono praticamente una pratica di mindfulness…e io li amo. Nei dolci, nei salati, per me è un ingrediente proprio feticcio, feticcio!
Poi vabbè, appunto, io sono nata in Campagna, la costiera amalfitana, eccetera eccetera, eccetera…quindi c'è anche quella parte sentimentale.
Manuela: Se potessi fare un viaggio con uno chef o con qualcuno che ritieni geniale ai fornelli, chi sarebbe? E dove andreste?
Mariachiara: Allora…anche questa è un'altra bellissima domanda, maledizione!
Ti posso dire due nomi?
Manuela: Assolutamente!
Mariachiara: Ok, allora, io farei dei viaggi con due cuochi, una donna un uomo, che mi permettono di esplorare geografie che non conosco.
Mi piacerebbe scoprire attraverso un viaggio con loro da dove arrivano gli ingredienti che poi mettono nel piatto, fare un po’ un viaggio al contrario no?
Quindi la prima sarebbe Rosio Sanchez (@sanchezrosio) che è una cuoca messicana che lavora a Copenaghen, ha lavorato il Noma, adesso ha aperto diversi ristoranti di street food, ma anche ristoranti un po’ più elaborati di cucina messican.
Lei ha una conoscenza d’ingredienti surreale, quello mi piacerebbe tantissimo, esplorare il Messico con lei, per capire la cultura di un posto che conosco pochissimo, proprio pochissimo e mi piacerebbe farlo con qualcuno che guarda alla natura, ai mercati con l'occhio della cucina. Appunto il famoso sguardo insolito su quello che è quotidiano e quindi lei sarebbe la prima. Il secondo è Franco Pepe (@francopepeingrani), un pizzaiolo campano. Perché la Campagna io la conosco pochissimo, perché sono andata via che avevo diciotto anni e quindi sai, conosci il tuo paese, conosci la tua città se sei di una città, conosci le gite della domenica ma non è che esplori la regione, almeno io con i miei non è che l'avessi esplorata tantissimo.
Lui, mi sembra che sia una provincia di Benevento, ma non ne sono sicura comunque lui è campano. Nella sua pizzeria inserisce diversi prodotti, persone della regione, diciamo c'è una strettissima collaborazione tra il suo ristorante e i contadini produttori della zona; quindi, mi piacerebbe tantissimo esplorare la ragione che non conosco, perché è la mia, ma non la conosco, con gli occhi di qualcuno che cucina, e in questo caso che cucina una pizza che è incredibile.
Manuela: Poi comunque alla fine finiamo sempre con l'esplorare mai la nostra regione, la diamo sempre un pochino per scontata. Almeno io parlo per me.
Mariachiara: Eh sì, ma è così guarda, poi vabbè io anche il Piemonte stesso, guarda io l'ho esplorato tanto negli ultimi due anni di pandemia e con un fidanzato piemontese, sennò prima, era “ma andiamo un po’ più lontano” ma perché, non lo so, le cose più vicine ti sembrano sempre un po’ meno interessanti, dice vabbè ma ci posso andare quando voglio eccetera, eccetera, eccetera. Quindi sì capisco benissimo questa cosa.
Manuela: Condividere le storie sul cibo, ha cambiato ulteriormente il tuo rapporto con il cibo stesso?
Mariachiara: Mi ha portata a prestare più attenzione a quello che provo mentre succedono alcune cose, perché penso “forse questa cosa vale la pena che io la ricordi, e che magari io la racconti”.
Normalmente quando mangiamo qualcosa, a meno che non sia un cibo memorabile, tendiamo no… a dimenticarcelo. Non tutte le esperienze le segniamo e con la voglia di continuare a raccontare le storie sul cibo, sicuramente quando succedono delle cose, quando ho delle sensazioni, oppure quando durante una cena vengono pronunciate certe parole riguardo il cibo, tendo a segnarmelo in maniera…diciamo non sempre fisica, nel senso, non è che prendo appunti (capita di prendere appunti, quello sì) provo a trattenerle di più, ecco.
Manuela: Una volta hai detto “i mestieri oggi sono costellazioni e bisogna guardarle un po’ da lontano e oltre per arrivare più in su”. Come sei arrivata a questa conclusione?
Mariachiara: Ah, credo come tutti i millennial all'ascolto.
(Manuela e Mariachiara ridono)
Rendendomi conto che i percorsi lineari sono un miraggio che non esiste più, eppure sono un'idea con cui siamo stati cresciuti, in qualche modo anche ingabbiati, credo rispetto a “studia per fare questo lavoro” per ottenere, anzi nemmeno per ottenere questa vita, cioè l'obiettivo era il tipo di lavoro, tipo di vantaggio, posizionamento, benefici che ti dava l'avere una certa definizione all'interno del mercato lavorativo.
E quindi credo che siamo stati un po’, almeno io sono stata cresciuta con l'idea di “vai, dritto, corri verso l'obiettivo. Quando ci arrivi ti fermi e stai lì, lì fermo in quel posto, lì sei diventato adulto” ma col cavalo che i percorsi sono questa cosa qui.
Che i lavori sono questa cosa qui, quella frase lì, l'ho scritta e l'ho pensata in un momento in cui mi sono accorta che perdendomi, lasciando quella strada dritta e percorrendo dieci vie laterali, alla fine unendo queste vie laterali non sto ancora ferma, e sono su una strada che anche se è dissestata, è molto più divertente, molto più personale, molto più interessante rispetto a quella che mi ero prospettata e mi si era stata prospettata.
Quindi è una visione molto più sfaccettata di quello è che il rapporto tra professione e tipo di vita, forse anche una scelta rispetto a cosa far venire prima.
Il lavoro disegna la vita che tu fai, no?
Manuela: Assolutamente!
Mariachiara: Gli orari, i colleghi, l'essere pendolare, il tipo di stipendio, è veramente un qualcosa di molto centrale. Avendo fatto esperienza in tanti ambiti, in azienda, in agenzia da freelance, da pendolare, da persona in qualche modo col posto fisso e poi nel pieno dell'instabilità, mi sono accorta di quanto sia importante preservare una qualità della vita a cui il lavoro è una risposta, cioè io voglio questa vita e quindi mi preparo a fare questo tipo di lavoro. Il lavoro per me non viene prima in questo momento, cioè viene prima rispetto alla voglia di realizzare i miei progetti personali, quello sì. Ma è molto, molto, molto, molto, molto più importante pensare di trovare un equilibrio mio, in cui il lavoro è una funzione di questo equilibrio. Ci si prova, non sempre ci si riesce, però ci si prova.
Manuela: Adesso è il momento delle Rapid Fire Questions, che solitamente sono tutte uguali per tutt* gli ospit*, la cosa divertente è proprio vedere le differenze tra le risposte.
Il libro che è cambiato tutto?
Mariachiara: Simple di Ottolenghi, mi ha cambiato il modo di cucinare le verdure.
Manuela: Eh, ci credo che abbia cambiato tutto, perché le verdure sono il sale della vita, io le adoro.
Mariachiara: Esatto!
Manuela: Il migliore consiglio che hai ricevuto nella tua vita o nella tua carriera? Scegli pure tu.
Mariachiara: Apri un secondo conto.
Manuela: Già!
Mariachiara: Proprio imbattibile! Nessun consiglio è stato migliore di questo.
Spostare i soldi con cui devi pagare le tasse…via, ciao, non li vedi più.
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
Manuela: Sacrosanto! Cosa c'è sul tuo comodino?
Mariachiara: In questo momento c'è un libro di Pollan che si chiama Il dilemma dell'onnivoro che non credo riuscirò mai a finire, sempre crema mani e crema piedi, e sempre un pannetto per gli occhiali che una delle mie duecentoventisette ossessioni.
Manuela: Su cosa generalmente le persone si sbagliano su di te?
Mariachiara: Pensano che io non mi arrabbi quasi mai, invece mi arrabbio abbastanza spesso.
Manuela: Qual è l'ultima cosa che hai imparato?
Mariachiara: Qual è la lunghezza sensata per un romanzo.
Mariachiara che belle cose ci siamo dette, io ti ringrazio proprio tanto.
Mariachiara: Grazie a te, e grazie a chiunque abbia ascoltato e ascolterà questa puntata, queste chiacchiere, perché anche per me sono state molto, molto, molto belle.
Quindi grazie.
Take Away
Da questo episodio mi porto a casa che raccontare le emozioni è complicato,
ma anche facile quando si parte da se stessi. Che il cibo è un rifugio ma anche controllo e che la condivisione di se e del cibo ci cambia un po’ ogni volta
avvicinandoci sempre di più agli altri e a ciò che siamo davvero.
Potete trovare Mariachiara su Instagram come @maricler, mentre sul Mariachiaramontera.it potete trovare la newsletter Conserve e l’accesso alle sue Masterclass. E se ascoltate me non perdetevi Lingua, che potete trovare su @Storitel che è splendido.
Io vi ringrazio per essere stati qui con me e fino al prossimo episodio vi auguro di assaporare ogni boccone!
Ci sentiamo due Mercoledì.
Ciao e a presto!
Le Faville è un podcast scritto e prodotto da me, Manuela Roncon.
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