Il potere di ascoltare

Andrea de Cesco

Ascoltare e ascoltarsi può cambiare radicalmente il corso della nostra vita personale e lavorativa? Assolutamente si!
Ne parlo con Andrea de Cesco in questo settimo episodio.
Giornalista, podcaster e divoratrice di contenuti audio, Andrea ha seguito ciò che la entusiasmava fino a costruirci una carriera. Per farlo ha scommesso su un mondo che ancora non era conosciuto in Italia, quello dei podcast.
Abbiamo parlato del magico potere dell’ascolto di se e dei contenuti audio
e di come le due cose a volte si mescolino creando maggiore consapevolezza
e serenità. Abbiamo parlato di mindfulness, di fare surf, di ansia, di meditazione, di nascere e crescere nella provincia e di riempirsi gli occhi di mare.

Buon ascolto!
(^_^)

Andrea de Cesco - Il potere di ascoltare

Quando sento che sto ascoltando qualcuno, e mi dimentico che quell'altra persona magari nemmeno la conosco, lì è quando parte l'innamoramento.”

— Andrea de Cesco

Scopri di più su Andrea de Cesco

Andrea De Cesco è una giornalista, podcaster e divoratrice di contenuti audio e responsabile della Chora Academy, la scuola di podcasting di Chora Media. Ha collaborato con diversi giornali tra cui Vice, e in particolare con il Corriere della Sera. Sempre per il corriere cura la newsletter “Futura” di cui è anche art director. È autrice e curatrice di “Questioni d’orecchio” la prima newsletter di podcast in Italia, che è un osservatorio puntualissimo sui podcast e sul mondo dell’ascolto in generale.

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Podcast e giornalismo: Questioni d’orecchio

  • “Quando sento che sto ascoltando qualcuno, e mi dimentico che quell'altra persona magari nemmeno la conosco, lì è quando parte l'innamoramento.”

    Benvenuti a nuovo episodio del podcast “Le Faville” la serie dedicata a quel momento preciso in cui sentiamo che tutto sta per cambiare. La favilla è quella cosa che a un certo punto sboccia, salta, nasce e ci spinge a cambiare, creare, distruggere, ricostruire e ripensare ogni cosa. In questo spazio voglio celebrare le faville di persone molto diverse tra loro. Farmi raccontare come le hanno ascoltate e in quale luogo si sono fatte portare, attraverso conversazioni organiche e libere.

     

    Ciao a tutte, tutti e tutt*, 
    come sempre grazie mille per essere qui con me.

    In questo episodio parleremo di “ascolto” e lo faremo con Andrea De Cesco.

    Andrea è una giornalista professionista che si occupa di cultura digitale, società e tematiche ambientali.

    Ha collaborato con diversi giornali, tra cui Vice, e in particolare con il Corriere della Sera, con il quale collabora tutt’ora, e cura la newsletter “Futura” di cui è anche art director. 

    È autrice e curatrice di "Questioni d’orecchio" una newsletter stupenda, che è un osservatorio puntualissimo sui podcast e sul mondo dell’ascolto in generale, ma lascerò spiegare a lei i dettagli.

    Andrea ha anche un podcast, anzi un meta-podcast, e si chiama appunto Parliamo di Podcast, un progetto di Lifegate. 

    È una rubrica sul mondo del podcasting, piena di aggiornamenti e novità su questa industria ma anche con molti consigli d’ascolto.

    Decisamente uno dei miei appuntamenti settimanali preferiti.

    Andrea vive a Maiorca ed è una persona curiosa il suo punto di vista mi sorprende ogni volta.

    Con lei abbiamo parlato del magico potere dell’ascolto di sé e dei contenuti audio, e di come le due cose a volte si mescolino, creando maggiore consapevolezza e serenità. 

    Abbiamo parlato di mindfulness, di fare surf, di ansia, di meditazione, di nascere e crescere nella provincia e di riempirsi gli occhi di mare.

    Ora vi lascio all’episodio.

    Buon ascolto!

    Manuela:Andrea grazie mille per essere qui!

    Andrea: Grazie a te!

    Manuela:Sono felice perché con te ho l'opportunità di chiacchierare di un argomento che sta molto a cuore a entrambe, che è l'ascolto, e che non vedo l'ora di osservare dal tuo punto di vista. 

    Sono molto interessata a capire in che modo ti ha cambiata se ti ha cambiata, è che ruolo ha anche al di fuori della sfera lavorativa. 

    Ovviamente parlo di ascolto organico, come l'ascolto di un podcast, di un audiolibro, di musica o qualunque altro supporto audio, ma anche quello interiore; quindi, lascio anche a te la libertà d’interpretare le domande da un punto di vista organico o interiore.

    Andrea: Bello!

    Manuela: Inizierei quindi chiedendoti, ascoltare per lavoro ha cambiato il tuo modo di ascoltare gli altri nella tua vita personale?

    Andrea: Sì, direi che lo ha cambiato. 

    Non in maniera decisiva, perché in realtà anche la scelta d’iniziare ad ascoltare per lavoro deriva da una propensione all'ascolto che ho, che ho sempre avuto; quindi, forse è stato l'ascolto degli altri che mi ha portata poi a fare della dell'ascolto sempre più un lavoro. Ovviamente l'ascolto per lavoro è un ascolto molto più analitico, quindi in questo senso, posso dire che l'ascolto per lavoro ha poi influito sull'ascolto degli altri.

    Nel senso che ho iniziato forse a fare più attenzione a certe sfumature nei toni della voce, forse ho iniziato ad analizzare un po’ anche il modo in cui gli altri parlavano, ma non perché ci sia un modo giusto o uno sbagliato, ma ho trovato sempre più interessante quello che soltanto la voce può trasmettere, al di là di quello che si sta dicendo, quindi il tono, il timbro e tutto ciò che c'è attorno.

    Credo che la mia inclinazione naturale ad ascoltare, e quello che è diventato l'ascolto analitico per lavoro, si siano influenzate a vicenda. 

    Manuela: È difficile per te ascoltarti?

     

    Andrea: Ascoltare me stessa si! 

    È forse la cosa più difficile, ed è difficile soprattutto perché sono molto istintiva; quindi, in genere agisco prima di essermi ascoltata. 

    A volte l'istinto ha ragione, direi che spesso l’istinto ha ragione nella vita, però a volte va a discapito, diciamo della diplomazia forse?! 

    E quindi dopo aver seguito l'istinto, capita che inizi una fase più o meno lunga di paranoia nella quale penso “oh, cavolo, forse avrei dovuto fare così, o così”, e quindi quella fase di ascolto che in qualche modo è venuta a mancare poi mi pesa. 

    In generale faccio fatica a capirmi, quindi mi viene molto più semplice ascoltare gli altri, capire gli altri, che ascoltare me stessa. 

    Tra l'altro ho iniziato da circa un anno, dopo un periodo di reclusione causa del Covid a fare un po’ di meditazione, qualunque cosa voglia dire.

    E in quella dimensione, devo dire che mi sono trovata molto bene. 

    Non so nemmeno se è una dimensione dell'ascolto, forse sì, perché è una dimensione in cui stai sentendo, ascoltando quello che sta succedendo nel momento presente. Forse è l'ascolto più vero che ci possa essere, perché è proiettato proprio sul momento in cui stai vivendo mentre invece normalmente quando ascoltiamo, aspettiamo sempre quello che verrà detto subito dopo. Invece questa cosa della mindfulness che fino a che non ho provato a farla mi era sembrata molto stramba, non ci credevo troppo ecco, anche in questo senso ha forse modificato un po’ la mia concezione dell'ascolto interiore e tra l'altro mi ha riportato anche alla maturità. 

    Io ho fatto una tesina sull’attimo Kairos è il valore puntuale dell'aoristo.

    Ho fatto il liceo classico, poi ho studiato lettere antiche; quindi in realtà quella cosa lì ce l'avevo già dentro e poi l’ho riscoperta dieci anni più tardi. Quindi anche lì, forse in realtà il tema dell'istinto è tornato no?!

    Manuela: Certo!

    Andrea: La tesina l'avevo…forse sto andando fuori tema, nel caso fermami, 

    (Andrea ride)

    Manuela: No, no prego continua (Manuela ride)

    Andrea: Quindi ecco, quella tesina l’avevo fatta per un desiderio che provavo di affrontare quel tema del carpe diem, di capire il valore appunto dell’attimo, il valore del presente che ha molto a che fare anche con l'ascolto secondo me, e poi ecco, è ritornata con questa cosa della mindfulness. Che per ora la chiamo mindfulness perché forse il termine è quello più giusto, poi in realtà si potrebbe chiamare in moltissimi altri modi. 

    A proposito di meditazione, ho letto l'ultimo libro di Emanuel Carrère, che si chiama Yoga che parla proprio di questa pratica. Mi ha fatto riflettere molto quel libro.

    Manuela: È anche nella mia di lista e sarebbe bello averlo già letto e poterne discutere.

    Andrea: Io l'ho ascoltato in realtà, non l'ho letto, su Storytel c'è l'audio libro.

    Manuela: Sono completamente d'accordo con te. 

    Anche per me la meditazione ha cambiato decisamente i parametri nell'iniziare a provare ad ascoltare me stessa, è in realtà quello che hai detto prima è perfettamente collegato, perché essere impulsivi alla fine ha sempre più senso se sappiamo ascoltarci. Quantomeno siamo impulsivi sulla cosa giusta no? Sulla cosa che vorremmo davvero.

    Andrea: Si certo! Forse, appunto, col il mio aspetto caratteriale, l’istintività, l’impulsività diventa meno problematica quanto più imparo ad ascoltarmi, io così come tutti gli altri impulsivi istintivi del mondo. 

    Quella piccola fase di ascolto mancato, che normalmente potrebbe essere un problema, se in realtà sei abituato ad ascoltarti, ti conosci bene, diventa un po’ meno un problema. Quindi in ogni caso, quello dell'ascolto è un esercizio che va fatto continuamente, anche per poi essere in grado di gestire le scelte più piccole e quotidiane. 

    In questo modo diventa appunto più difficile sbagliare è quindi c'è anche meno il rischio poi di provare questi sensi di colpa continui che ho. 

    Si vede che evidentemente ancora non mi conosco abbastanza bene, oppure la propensione al senso di colpa è troppo forte e in sostanza ancora quell'aspetto lì non è scomparso, devo un po’ lavorarci. 

    Manuela: Un altro strumento che a me ha aiutato molto è stato scrivere, scrivere quello che sento senza giudizio, proprio semplicemente scrivere tipo flusso di coscienza. 

    E in un certo senso, è forse un altro aspetto meditativo diverso, con una meccanica diversa, che però…

    Andrea: …soprattutto la scrittura a mano!

    Manuela: Ecco, esatto!

    Andrea: Perché la scrittura a computer in questo senso per me non funziona. 

    Io da un po’ di tempo ho preso l'abitudine di scrivere ogni sera qualcosa, non è un esercizio che funziona fino in fondo, perché in realtà bisognerebbe scrivere nel momento stesso in cui sentiamo il bisogno, forse anche di fermare alcuni pensieri, alcune idee. 

    Non riesco sempre a farlo perché tendenzialmente le mie giornate sono una corsa contro il tempo ultimamente, quindi faccio davvero fatica (Manuela ride). 

    Però ogni sera, cascasse il mondo quelle due righe le scrivo, sempre rispetto al tema dell'ascolto sono molto utili. Anche perché quando scrivo penso a che cosa vorrei scrivere e quindi ascolto, perché appunto l'obiettivo non è buttare giù una cosa a caso, ma buttare giù quello che ti ritorna dal vissuto della giornata.

    Manuela: Completamente d'accordo.

    Cosa fai fatica ad ascoltare?

    Andrea: In genere non faccio faticare ad ascoltare, perché appunto mi piace. 

    Mi piace ascoltare cose diverse. Faccio fatica ad ascoltare, per quanto riguarda ascolti per lavoro direi, perché se si tratta di ascolti nella quotidianità non credo di fare fatica ad ascoltare. Magari a volte faccio fatica a trovare il tempo da dedicare all'ascolto delle persone che sono a me più care, faccio fatica ad ascoltare le cose fatte male, oppure le cose fatte in modo troppo impostato. 

    Tutto ciò che è creato per essere ascoltato in un secondo momento ovviamente ha un'impostazione predeterminata no? Però la bravura in quel caso è nasconderlo, è tutto un artificio, ecco l'artificio deve essere fatto bene, perché altrimenti diventa una forzatura e le forzature non sono mai piacevoli; quindi, ecco direi queste due cose: le cose fatte male, fatte tanto per fare, oppure le cose troppo impostate.

    Manuela: Cosa attira in assoluto la tua attenzione?

    Andrea: Forse la profondità. La profondità e il calore.

    Quindi mi piace quando sento dei ragionamenti particolarmente profondi, e quando sento che qualcuno mi sta raccontando qualcosa che per lui o per lei è importante, ed è una dimensione che ti dà soltanto l’audio. 

    Anche il fatto che quando ascoltiamo possiamo dedicare molto più tempo all'ascolto di quanto ne dedicheremmo alla lettura o la visione di un video. 

    Se ci sono gli elementi per noi efficaci, si viene proprio trascinati nell'ascolto senza, rendercene conto. Mentre invece questa cosa è molto più complicata con video o testi, però ecco si, quando sento che sto ascoltando qualcuno e mi dimentico che quell'altra persona magari nemmeno la conosco, lì è quando parte l'innamoramento. 

    Manuela: Hehe, capisco al 100%.

    Ti va di raccontare come è nata la tua newsletter, Questioni d'orecchio?

    Andrea: Certo! 

    Avevo ascoltato Veleno, che per me, come per molti ha rappresentato la porta di ingresso nel mondo dei podcast…e, cavolo, ho ascoltato questa cosa e ho detto “ma è uno strumento meraviglioso!”. Ho iniziato a fare un po’ di ricerche, e vedevo che in Italia non ne parlava nessuno, e mi sono chiesta come fosse possibile che nessuno ne parlasse. Mi sembrava davvero una rivoluzione, nel modo di fare comunicazione e intrattenimento. Quindi collaboravo con il Corriere, e sono andata dal responsabile della redazione di Corriere Tecnologia e gli ho detto “Guarda, c’è questo nuovo strumento in Italia (era nuovo anche se in realtà negli Stati Uniti i podcast si fanno diciamo dalla metà degli anni 2000, più o meno), ma cosa ne dici se faccio una rubrica su questo tema?” e lui mi ha detto “eh vai, vai tranquilla”.

    Nel frattempo, questa rubrica l'ho trasformata in una newsletter, che ha funzionato molto meglio tra l'altro, rispetto alla rubrica che era online. Perché un'altra delle mie passioni, sono appunto le newsletter, che trovo al pari dei podcast. 

    Degli strumenti molto utili per creare una community, e quindi ho iniziato a fare questa cosa un po’ quasi per gioco. Anche se poi per gioco non si fa mai niente, perché se fai qualcosa per gioco, non la porti avanti per tre anni. 

    Però, per vedere un po’ come andava, allora il mercato era appena nato in Italia ovviamente non c'era modo di prevedere che sarebbe andato, come sta andando oggi. Oggi ci sono circa dieci milioni di ascoltatori in Italia, poi i dati non sono certi dipende un po’ come li si misura e a chi si chiede, però diciamo che dieci milioni potrebbe essere una stima verosimile e quindi ho avuto la costanza, direi, di andare avanti. 

    Ormai sono tre anni, ogni settimana a tenere aperto questo osservatorio sul mondo.

    È stato faticoso perché il problema è quello della sostenibilità economica, fare una newsletter di questo tipo richiede molto tempo, richiede di essere sempre informati, di essere sempre sul pezzo, nello stesso tempo però richiede tutto questo lavoro senza che ci sia un compenso, quindi, significa sottrarre tempo a quello che poi invece è il lavoro che ti dà da vivere.

    Ho avuto dei momenti in cui ho detto “no, basta! Non lo faccio più perché mi sta prendendo troppo tempo e non ci sto più dentro” e poi a un certo punto è successo che questa newsletter è diventata per me un'opportunità di lavoro indiretta. 

    Nel senso che ha iniziato a catalizzare persone interessate a questo mondo e anche persone che hanno iniziato a chiedermi di fare tutta una serie di lavori, proprio perché mi avevano conosciuta attraverso Questioni d’orecchio, attraverso il lavoro che stavo facendo e quindi mi sono ritrovata a essere considerata un'esperta, senza che io avessi mai ipotizzato di poter essere un'esperta di qualcosa. 

    E non sono ancora convinta di essere un'esperta, sono semplicemente una persona che si informa e che appunto lo fa con costanza e con serietà, un altro elemento non scontato, non ho mai parlato per esempio di un podcast che non abbia ascoltato almeno in parte. 

    Ogni giorno, seguo appunto le notizie del settore come farebbe qualunque altro giornalista, perché ecco, io comunque come formazione e come professione sono una giornalista, sono iscritta all'ordine, sono una professionista. È appunto dicevo, come un giornalista di politica, per esempio di economia si segue il proprio settore, tutti i giorni con serietà e costanza, lo stesso sto facendo io con i podcast. 

    Questo lo dico tranquillamente, non c'è nessun altro in Italia che sta facendo quello che sto facendo io, non perché non ci sia nessun altro in grado di farlo, anzi, ci sarebbero migliaia di giornalisti che potrebbero fare la stessa cosa, però evidentemente il mercato non è ancora abbastanza grande da giustificare un interesse così forte. 

    Nonostante negli ultimi anni l'interesse sia cresciuto moltissimo, ormai i giornalisti che a spot parlano di podcast sono tanti, senza fare un lavoro così quotidiano, però comunque ce ne sono parecchi, così come tutte le redazioni dei giornali italiani ormai fanno podcast.

    Quando ho iniziato a fare Questioni d’orecchio, all'inizio della primavera del 2019, l'unica redazione direi ad avere scommesso seriamente sui podcast era stata Repubblica che a un certo punto aveva sostenuto economicamente il team di Veleno a partire da Pablo Trincia, che era andato da Mario Calabresi a parlare di questa storia pazzesca che aveva raccontato nel podcast, però allora non c’era praticamente altro. Oggi invece credo che non esista davvero una redazione di un giornale medio grande che non abbia fatto podcast. Quindi all'improvviso mi sono ritrovata a essere al centro di un fenomeno senza averne avuto nessun merito direi, quindi puro caso, pura fortuna. Ne sono felice, perché significa che il mondo dei podcast sta diventando sempre più conosciuto ed è una cosa bellissima. Credo che nel momento in cui qualcuno inizia ad ascoltare scopre universo magnifico, cioè, io parlo di podcast con chiunque, con la persona che mi trovo accanto sull'aeroplano, con lo zio ottantenne del mio ragazzo, perché ci tengo proprio che le persone arrivino a conoscere la voce, il potere della voce e dell'ascolto che credo che sia una cosa che ti cambia.

    Mio nonno per esempio, lo racconto sempre, ha ottantotto anni e ha iniziato ad ascoltare podcast, audio libri, ed è diventata probabilmente la persona con cui mi confronto di più su questo tema, anche se non riesce ad ascoltare tutto perché, poi cioè l'ostacolo tecnologico, no? Lui riesce ad ascoltare quello che gli ho messo io sul cellulare, in questo senso ho una responsabilità altissima, però ecco, quello che trova il modo tecnologico di ascoltare poi diventa un argomento di discussione tra di noi.

    Manuela: Certo…beh…puro caso, dicevi prima e pura fortuna…diciamo che tu sei stata anche un po’ pioniera in questo, no? Perché comunque ti sei buttata su una nicchia che non avevi la certezza matematica che poi si sarebbe espansa in Italia. 

    Io, per esempio, per prima, ho questo progetto nel cassetto dal 2018 però l'ho portato online sono nel 2021 proprio perché per esempio avevo molta paura.

    Vivendo negli Stati Uniti, ascoltando da molti anni podcast e vedendo che la è la normalità, e invece qui ancora non era iniziato proprio il boom, ho avuto dei momenti in cui ho un po’ ritratto la mano, oltre vabbè alla sindrome dell'impostore galoppante, che è stata quella che ha fatto di più pressione. 

    Però devo dire che ci sono stati appunto alcuni anni in cui dicevo “ma, interesserà?”. Insomma, ci ho messo un po’, quindi voglio dire dici che sei stata fortunata però in realtà tutto questo lavoro, e la passione hanno pagato.

    Andrea: Si si, ha pagato. 

    Appunto sono sorpresa, cioè non sono sorpresa dal fatto che i podcast hanno avuto successo, semplicemente sono sorpresa del fatto di aver fatto una scelta azzeccata. Non che mi consideri una persona che metodicamente non fa scelte non azzeccate, però comunque appunto, il mercato qua avrebbe potuto non esplodere mai.

    Manuela: Qual è stata la tua più grande favilla?

    Andrea: Credo di averne avute diverse di faville, in un modo o nell'altro, con minore o maggiore intensità. Forse la più importante degli ultimi anni è stata quando…è stato un insieme di faville che poi ha fatto cambiare la mia vita e potrebbe sicuramente cambiare di nuovo, non penso che sia definitivo, no? Alla fine, le faville rappresentano in qualche modo l'inizio di una fase che può durare più o meno nel tempo.

    Manuela: Certo, assolutamente!

    Andrea: Forse nel mio caso è stata quando l'estate scorsa, a un certo punto dovevo scegliere se accettare un lavoro nella redazione del giornale per cui collaboro oppure se scommettere su me stessa e trasferirmi, perché poi le due cose andavano di pari passo. 

    Il mio ragazzo è maiorchino e l'ho conosciuto a Londra in un altro momento derivato da una favilla. A Londra anche lì mi ero detta “voglio partire, voglio fare questa esperienza”, allora avevo un altro ragazzo sardo, sono tendente agli uomini isolani (Andrea e Manuela ridono). 

    E quindi nonostante il ragazzo, dico nonostante perché lui non sarebbe partito con me, ho preso e sono andata a Londra. 

    A Londra ho conosciuto un ragazzo maiorchino quindi abbiamo avuto una storia di qualche anno, un po’ a distanza un po’ no, dovevo capire un po’ che strada prendere, sia a livello lavorativo che dal punto di vista della nostra relazione visto che lui qualche anno fa’ era tornato a vivere definitivamente a Maiorca, definitivamente tra virgolette perché poi di definitivo non c'è nulla. 

    Lì ho capito che la dimensione della redazione mi stava in quel momento un po’ stretta, avevo bisogno di essere libera di sperimentare; quindi, non soltanto ho deciso di non proseguire la strada che forse mi avrebbe portato poi a un lavoro stabile all'interno della redazione, ma anche deciso di cambiare diciamo modo di lavorare mentre cambiavo anche paese.

    Quindi, ho deciso di andare a vivere a Maiorca. Ora vivo qua la maggior parte del tempo e poi ho iniziato a lavorare più seriamente su progetti miei. Quindi è stato un momento difficile, ovviamente come ogni momento di cambiamento, ma è stato anche liberatorio perché lì ho capito che la strada della libertà professionale mi era sempre appartenuta e semplicemente non l'avevo colta, perché credevo che la dimensione della redazione fosse quella più divertente, più bella. Avevo forse anche un'idea del lavoro giornalistico in redazione un po’, come dire, non sbagliata però costruita su aspettative irrealistiche. 

    Ho provato a capire se da sola ce l'avrei fatta e per il momento sta funzionando.

    Sono sempre lì…come dici tu, la sindrome dell'impostore, sto sempre aspettando che qualcosa vada storto, anche se ho imparato a farne molto meno un problema.

    Potrebbe anche andare storto e non sarà la fine del mondo alla fine ciascuno di noi ha dentro di sé delle risorse che neanche sa di avere. 

    Quindi immagino che se qualcosa dovesse andare male poi troverei il modo per risolverlo, l'importante è non pensare continuamente a quello che potrebbe andare male. 

    E poi, sto ricostruendo questa vita di fronte al mare, io sono cresciuta nella nebbia amando la nebbia quindi ho sempre avuto il desiderio di viaggiare, ma non ho mai sofferto la dimensione della provincia, sono e vengo dalla provincia di Milano e mi ci sono sempre trovata benissimo. 

    A volte sento discorsi sulla provincia che chiude la testa, la prospettiva, per me non è mai stato così, anzi, la provincia per me è sempre stata uno stimolo a cercare altrove per poi tornare in un posto dove avevo delle radici che comunque mi davano sicurezza nella vita, quindi, ecco mi è sempre piaciuto molto. Ricordo al liceo, per esempio, ho fatto il liceo a Milano, il Parini e avevo la maggior parte dei miei compagni di classe (come poi quelli dell'università che venivano da Milano) ed erano abituati a spostarsi molto meno di me. Se tu vieni dalla provincia per necessità devi sempre trovare il modo, anche semplicemente di spostarti, quindi ogni spostamento è una piccola sfida. 

    E quindi secondo per me, venire da una situazione meno facile, per tanti versi poi ti dà una marcia in più nella vita. Perché sei sempre abituato tu a cercare la soluzione, e a darti da fare, e quando poi vai in una città dove hai molte più possibilità, come per me è stata Londra o Barcellona sei più dinamico in un certo senso, pur venendo da un posto più chiuso, almeno per me è stato così.

    Poi so che non è così sempre in tutti i casi, però per me la provincia ha rappresentato quella cosa lì; quindi, dopo essere cresciuta nella nebbia ora mi trovo a vivere di fronte al mare, sempre con un po’ di nostalgia per la nebbia soprattutto d'inverno, però ho scoperto anche quanto vedere il mare ogni giorno ti può dare. 

    Mi sento…è un'immagine che forse può sembrare esagerata, però per me è davvero così, a volte sento il mare che mi entra nelle pupille, come se dell'energia, del liquido (cioè sembrano discorsi davvero surreali però non lo so), io mi trovo lì incantata a guardarlo. 

    Quando dicono che vivere vicino al mare ti cambia ora lo capisco, non mi era mai capitato, è davvero pazzesco.

    Manuela: Non faccio nessuna fatica a crederti sul discorso del mare perché davvero credo che sia meraviglioso.

    Andrea: Tu vivi vicino all'oceano!

    Manuela: Io vivo vicino all'oceano, però vivo a Brooklyn, in un quartiere assolutamente cittadino e comunque per andare al mare devo spostarmi con una ventina di minuti diciamo di metropolitana, oppure andare a vedere il fiume Hudson o l’East River, che comunque, insomma non sono il mare.

    Capisco quello che dicevi prima sul discorso della provincia. 

    Anch'io sono cresciuta in provincia, e faccio parte della categoria di quelli che erano convinti che la provincia chiudesse la mente o che potesse appunto precludermi delle cose, e quindi le ho sempre cercate io, e sono andata lontanissimo per trovarne delle altre, per poi oggi in effetti rendermi conto che in realtà il problema non è mai il luogo in cui vivi, ma alla fine parte da te. 

    Sono le tue risorse, il tuo interesse e la tua curiosità, e non è non ce l'avessi eh? 

    Però in un certo senso davo la responsabilità delle mie fatiche al luogo in cui ero e ho capito che non è così. Oggi in effetti potrei vivere ovunque perché non è più determinante come pensavo che fosse.

    Andrea: Sì, poi il luogo sicuramente influisce, il luogo dove cresciamo, dove viviamo ci plasma in qualche modo questo secondo me è vero.

    Manuela: Certo, sì sì!

    Andrea: Dopo di che non è soltanto il luogo, e soprattutto il luogo lo possiamo cambiare a meno che uno non abbia una famiglia, dei problemi concreti per cui non può spostarsi però ecco, si può sempre scegliere dove vivere. 

    A volte siamo noi un po’ che ci ancoriamo, no?

    Manuela: Certo, verissimo! 

    Andrea: Poi tu sei l'esempio invece di una persona che non sia ancora visto che hai preso sei andata a New York. 

    Manuela: È vero che quando ti devi spostare tanto per andare in città, alla fine ti devi arrangiare no? E quindi ti arrangi poi sempre in tutto.

    Tu nei tuoi post, parli spesso del tuo rapporto con l'ansia e mi piacerebbe sapere se per te i podcast o gli audio libri sono uno strumento per spezzare il loop dei pensieri, perché per me ascoltare qualcosa che mi interessa molto ha un effetto assolutamente terapeutico. La mia mente in generale vaga e divaga senza sosta, quando invece inizio ad ascoltare un contenuto audio, riesco a concentrarmi unicamente su cosa sto ascoltando, e quindi è uno dei modi che io utilizzo per rilassarmi, succede anche a te?

    Andrea: Sì sì, assolutamente, secondo me hai usato una parola chiave che è concentrazione.

    Nel senso che succede anche a me, e quando riesco a concentrarmi tendenzialmente non faccio troppo fatica però ecco, bisogna dire che l'audio ha una dimensione per cui serve molta concentrazione. 

    È vero che si può fare mentre stai facendo altro però forse viene sottovalutato un po’ l'elemento della concentrazione che è fondamentale. In generale l'audio, rispetto all'ascolto e rispetto all'ansia e di grandissimo aiuto. Anche perché smetti di essere dove sei, vieni trasportato davvero in un altro mondo che viene plasmato contemporaneamente dalla voce che racconta e dalla tua mente. 

    Perché l'ascolto, ha anche questo potere immaginifico, creativo per cui ti costruisci un mondo tuo, in questo senso è ancora più forte della lettura che comunque a livello di stimolo dell'immaginazione è già è fortissimo.

    Se invece pensiamo ai video, dove hai già tutti gli elementi davanti, lo spazio all'immaginazione è davvero poco. L'audio forse, in questo senso, è ancora più forte della lettura appunto, e quindi si è terapeutico.

    Se avevo l'ansia, che poi “l’ansia” con l'articolo, mi dà tra l'altro l’idea di una persona che è lì in agguato pronta (Andrea e Manuela ridono) ad arrivare. 


    Sono contenta di poterlo fare per lavoro, e quindi, di doverlo fare. 

    Visto che se lo devi fare per lavoro oltre che una possibilità, diventa anche un dovere, però è un bel dovere proprio perché a parte che si imparano tantissime cose nuove, per me la possibilità d’imparare è stupenda. 

    Se io potessi fare una cosa nella vita, sarebbe studiare fino alla morte probabilmente, studiare cose diverse e poi sono tantissime le cose che mi incuriosiscono. 

    Tra l'altro occuparsi di podcast, ti dà la possibilità di imparare molte più cose di quante ne potresti imparare anche semplicemente leggendo un libro, perché il tempo dell'ascolto è più compresso e quindi riesci a incastrare più podcast o più audiolibri nell'arco di breve tempo. Moltissime persone dicono che da quando ascoltano audio libri, per esempio, leggono o audio leggono di più rispetto a quando leggevano e basta.

    Tornando al tema dell'ansia, probabilmente sono stati fatti anche degli studi su questo, forse più che degli studi direttamente sul valore terapeutico dell’ascolto, sicuramente sono stati fatti studi sulla capacità dell'audio di stimolare la fantasia e questo dice tutto, perché la fantasia è probabilmente l'arma più potente contro l’ansia. 

    La capacità di evadere in un altro mondo, anche se poi sappiamo che l'ansia non si combatte soltanto evadendo, ma va affrontata, però l'evasione ogni tanto è una scappatoia efficace.

    Manuela: Assolutamente vero! 

    E tu che cosa fai quando l'ansia prende il sopravvento? Hai una tattica?

    Andrea: No, non ho una tattica, però quello che mi piace è fare sport, correre, camminare. È un altro modo per evadere, perché l'alternativa è andare in paranoia e quello è il livello dell'ansia pro. Inizio a chiedere a tutto il mondo, qualsiasi persona mi capiti a tiro se ho sbagliato, cosa dovrei fare “aiuto, ho sbagliato”, l'altro mi dice “no, non hai sbagliato” e io “ma sei sicuro che io non abbia sbagliato?” “ma sei sicuro, sicuro? Ma guarda che ho fatto così, secondo me ho sbagliato?” e l'altra persona mi dice “ma no, ma tranquilla, non hai sbagliato”. 

    In realtà l'unico modo per fermare questo circolo vizioso completamente inutile è andare a correre, ancora più che camminare. 

    Tra l'altro ascoltando podcast, audiolibri e quindi cioè da una parte l'adrenalina dello sport e dall'altra il tema dell'audio, la concentrazione, della fantasia e insieme, ecco sono una bomba contro l'ansia, contro i pensieri negativi in generale. 

    Tra l'altro ho corso sempre, sono tre anni che corro, ho fatto per caso una scuola di corsa online lo scorso autunno, la persona che l'ha creata si chiama Daniele Vecchioni. 

    Lui insisteva tantissimo sul fatto che ogni giorno bisogna prendersi almeno un'ora per stare sulle gambe, per correre, camminare. Faceva questi webinar dove chiacchieravamo e gli facevamo domande su tematiche varie. 

    A volte anche tematiche relative alla psiche, perché poi lo sport ha sempre una componente psicologica di motivazione molto importante, e lui insisteva su questo punto cioè “non ci sono scuse, un'ora al giorno per stare sulle gambe te la devi trovare!”.

    E l'ho preso molto seriamente, perché sono una persona che prende le persone di cui arriva a fidarsi molto seriamente e da allora ogni giorno, un'ora di camminata o di corsa mi ha davvero cambiato la vita. Sono molto più serena e tra l'altro ascolto anche molto di più, perché quando corro o cammino inevitabilmente ascolto; quindi, ecco è stato un regalo, da tutti i punti di vista prendere questo consiglio, intendo, cioè farlo mio.

    Manuela: È una cosa che faccio anch'io quella di uscire un'ora al giorno a camminare. Io in genere non corro, però è vero, ha un un'influenza sulla giornata e sulla serenità pazzesca ed è anche un ottimo modo, infatti, per ascoltare di più contenuti.

    Chi ha influenzato di più in assoluto la persona che sei oggi?

    Andrea: Non c'è una persona che abbia influenzato davvero chi sono. 

    Secondo me sono stati una serie d’incontri che ho fatto. Incontro dopo incontro sono arrivata a essere quella che sono oggi. È un mix di cose, sicuramente per certi aspetti penso sempre a mio nonno, in generale tutti i miei quattro nonni sono stati fondamentali nella mia vita. I miei nonni materni non ci sono più, sono le persone che mi hanno cresciuto. I miei nonni paterni sono le persone che ho scoperto nella tarda adolescenza. 

    Il mio nonno paterno ha per certi versi un carattere difficile però è una persona che ama la vita in modo impressionante, e di fronte ai problemi riesce in qualche modo sempre, forse è banale da dire, però riesce a farsene una ragione. 

    Nel senso che non si fa, mi viene da dirlo in spagnolo, non si fa amargar, forse è amareggiare la traduzione? Però amargar, suona diverso, non lo so, comunque non si fa abbattere dei problemi. Prende quello che viene, affronta le situazioni con gli strumenti che ha a disposizione, è la sua filosofia. 

    Anche se non è che abbia una filosofia scritta, però diciamo che quando c'è una cosa che non può fare, l'accetta per quello che è “Io questa cosa non la non la posso fare, questa situazione non è nelle mie mani, non la posso risolvere” e quindi prende il buono che può trovare. 

    Ed è una cosa che fa in modo sistematico, per me è allucinante che lui abbia appunto questa resilienza, resilienza poi è una parola di cui si è abusato tantissimo negli anni però il suo e un po’ uno scivolare, più che essere resiliente. 

    È uno scivolare consapevole tra le situazioni della vita, appunto, sempre con la consapevolezza che vivere è meraviglioso, e questo per me è un po’ un obiettivo di vita. Io invece, sono molto più ansiosa, e mi faccio duemila paranoie, lui non è così. 

    Io mi lamento, mi dispero, lui zero. 

    E poi forse anche il mio ragazzo mi ha aiutato molto a smussare delle spigolature del mio carattere, lui è molto più bambino di me, tra l'altro io sono la prima di diverse sorelle. Ho due sorelle da stesso padre e stessa madre, due sorelle da padre e madre diversa e un fratello da madre padre diverso. Mentre invece lui è il più piccolo di tre con due fratelli, molto più grandi di lui. 

    Su questo suo modo di essere molto più giocoso, più bambino, ma bambino in senso positivo di me mi ha aiutato a calmarmi in un certo senso. Mentre io invece sono sempre stata molto più nervosa, complicata, lui in qualche modo scioglie le mie complicazioni, nei limiti del possibile, non sempre è possibile.

    Manuela: Che bello!

    Andrea: Ci sono poi state ovviamente altre persone, la professoressa del liceo, la professoressa di greco, che mi ha trasmesso un po’ l'amore per il greco antico. 

    Io ho fatto lettere antiche probabilmente per lei e mi ha anche fatto amare il mio nome. Io mi chiamo Andrea, poi in realtà il mio primo nome sui documenti è Federica, ma semplicemente perché quando sono nata per legge non si poteva mettere Andrea come primo nome ha una donna.

    Manuela: Ah ecco! 

    Andrea: Quindi, in sostanza, si, mi chiamo Federica legalmente, ma sono Andrea. 

    Cioè mi sento Andrea e nessuno mi ha chiamato Federica nella vita.

    Però il mio nome, in una fase della mia vita per me è stato orribile, cioè quando dovevo dire che mi chiamo Andrea piuttosto morivo, cioè mi chiedevano “come ti chiami” e io “eh…stai parlando con quella dietro?” 

    Manuela: ahahhah

    Andrea: Poi a un certo punto, lei ha iniziato a chiamarmi Andréia che è Andrea al femminile in greco e vuol dire coraggio, valore, e poi detto da lei aveva un suono così dolce. Appunto questo significato bellissimo, a un certo punto ho iniziato a portare il mio nome con orgoglio e visto che in un certo senso, credo che il nostro nome un po’ almeno ci definisca, ecco questo cambio di prospettiva è stato illuminante per me.

    Manuela: Mi racconti la tua routine d'ascolto?

    Andrea: La mia routine d’ascolto? La mia routine d’ascolto non esiste!

    Manuela: Ahahaha!

    Andrea: Cioè, nel senso, che ascolto in qualsiasi momento posso ascoltare! 

    A volte faccio subire al mio ragazzo quello che ascolto io perché ho degli ascolti in arretrato e sto facendo delle cose; quindi, non ho il tempo di mettermi le cuffie o comunque mentre ascolto o devo comunicare con lui. 

    Ecco, quindi ogni volta che posso ascolto.

    A volte ascolto in modalità altoparlante del cellulare, altre volte con le cuffie auricolari, però ecco non ho una routine. È proprio incastrare l'ascolto in ogni momento possibile della giornata e ascoltare qualsiasi cosa…boh forse ho venti app per ascoltare cose diverse sul cellulare, a rotazione cerco di aprirle un po’ tutte. 

    Ascolto qualche stanza su Twitter, ascolto quello che mi propina Alexa nelle notizie quotidiane. 

    Non ascolto la radio, la ascolto soltanto on-demand attraverso l'app di ascolto, però tendenzialmente non la ascolto, anche perché le uniche occasioni in cui ascoltavo la radio in passato erano in macchina e ora uso pochissimo la macchina, quindi, è il motivo direi per cui ho smesso di ascoltare la radio. Almeno la radio non on-demand. 

    La realtà è che non ho nessun tipo di routine.

    Manuela: Ti capisco, perché anche io ho questo nerdismo con l'ascolto, anche se io mi limito ai podcast, gli audiolibri, e i video su YouTube. 

    Però è bello sapere che non sono sola.

    Questa dimensione di ascolto che ti sei creata pensi che abbia cambiato il modo di raccontare le storie come giornalista?

    Andrea: Sì. 

    Soprattutto ha cambiato anche il modo di scrivere, lo ha semplificato, lo ha snellito e credo che quindi anche la scrittura ne abbia giovato, perché tutto ciò che viene snellito poi probabilmente è più facile nella ricezione da parte di chi lo legge. 

    Quindi ecco, io nasco come giornalista per la carta stampata, ho iniziato a scrivere su un giornale locale, vabbè mi sono occupata di web, social, eccetera eccetera. 

    Ho fatto dei video, e diciamo che la mia dimensione, comunque, di base è quella scritta per essere letta; quindi 'ha cambiato in questo senso. 

    Poi in realtà, al mio lavoro nei podcast, applico lo stesso rigore che ho imparato per quanto riguarda il giornalismo. Quindi verificare tutto, essere precisa nel riportare qualsiasi cosa, non dare mai niente per scontato. 

    Credo che la formazione giornalistica qualsiasi lavoro poi si cerca di fare, qualora non si prosegua appunto nella strada del giornalismo, anche se io comunque ora sto proseguendo nel mio lavoro giornalistico.

    La formazione giornalistica è molto utile, perché se presa bene, con tutti i crismi, non dico che tutti i giornalisti facciano bene il loro lavoro oppure imparino davvero quelli che sono i cardini del giornalismo, però ecco, poi ti aiuta, perché davvero ti dà un rigore e anche una propensione all'ascolto.

    Ogni giornalista deve essere un ascoltatore altrimenti è impossibile raccontare le storie. Diciamo che il giornalismo, scrittura e ascolto formano un intrico. Ecco, quindi sì, credo che questi tre mondi a vicenda si diano un grande aiuto. 

    Manuela: Adesso è il momento delle Rapid Fire Questions, che sono cinque velocissime domande con risposta a bruciapelo, che faccio a tutti gli ospiti e di cui amo moltissimo sentire la diversità nelle risposte.

    Andrea: Aiuto!

    Manuela: Io vado!

    Il libro che ha cambiato tutto?

    Andrea: L’insostenibile leggerezza dell'essere di Kundera.

    Manuela: Il migliore consiglio che hai ricevuto nella tua vita o nella tua carriera?

    Andrea: Imparare a dire di no più spesso.

    Manuela: Quella cosa è difficilissima! 

    Che cosa c'è sul tuo comodino?

    Andrea: C’è sempre un libro, il carica cellulare, e poi ci sono quattro flaconcini con oli essenziali, che sniffo mattina e sera da quando ho perso l'olfatto a causa del COVID.

    Poi l’olfatto l'ho recuperato però questa cosa dell’annusare i miei flaconcini è rimasta.

    Manuela: Su cosa generalmente le persone si sbagliano su di te?

    Andrea: Sai che non lo so? 

    Non ne ho idea, perché la mia percezione di quello che gli altri pensano di me, è sempre intermediata dalla mia ansia e insicurezza. 

    Quindi io ipotizzo che le altre persone mi possano vedere come una persona troppo sfacciata, forse? Nel senso che non ho mai problemi a fare domande, cioè come ti dicevo sono molto istintiva, quindi forse hanno anche ragione! Cioè non si sbagliano, quindi non saprei.

    Manuela: Qual è l'ultima cosa che hai imparato?

    Andrea: Sto provando a imparare a fare surf, quindi non direi che l'ho imparata, ci sto provando. È molto bello, molto complicato e ti insegna anche a provare, riprovare, provare, riprovare e accettare la sofferenza implicita in questo sport, sofferenza sopportabilissima. 

    Almeno nel mio caso, si beve un sacco, si prendono un sacco di botte la maggior parte delle volte, poi lo sto facendo adesso in inverno; quindi, con l'acqua a tredici gradi, si ha molto freddo. Però comunque ogni volta riprovi, nonostante nell'arco di un'ora e mezza magari sono riuscita a mettermi in piedi sulla tavola una volta e mezza, però comunque vai avanti, perché l'obiettivo e poi arrivare a fare una cosa che quando la riesci a fare è stupenda!

    Manuela: Immagino!

    Andrea dove possiamo trovarti su Internet?

    Andrea: Direi un po’ dappertutto sono come il prezzemolo! 

    Non uso nessun social con particolare costanza. 

    Sono su LinkedIn, su Facebook ci sono pochissimo ormai come credo qualunque persona sotto i cinquant’anni. 

    Su Twitter, che non lo so usare, non ho la minima idea di come funzioni.

    Ho fatto una volta un tweet che è diventato diciamo, come si dice virale, e riguardava i compensi dei giornalisti collaboratori che oggi sono terribili.

    Però non è diventato virale perché io pensassi che sarebbe potuto diventare virale, semplicemente ho scritto una cosa che mi è venuta in mente riportando delle cifre, però tendenzialmente Twitter non lo so usare.

    Sono su Instagram, e poi c'è la newsletter Questioni d’orecchio, e un podcast che si chiama Parliamo di podcast. 

    Mi piacerebbe essere meno su Internet in realtà.

    A Natale ho fatto un periodo di digital detox come si dice, anche se in realtà è stato un digital detox finto, semplicemente ho cancellato tutte le app dei social e mi sono sentita molto meglio. Lo consiglio a tutti, so che magari non tutti se lo possono permettere perché alla fine i social servono spesso anche per lavoro, però è stato davvero bellissimo. 

    Mi sono proprio resa conto di quanto l'utilizzo dei social faccia sempre essere un po’ sulla punta dei nervi e quindi liberarsene ogni tanto è un regalo che ci si fa.

    Manuela: È proprio vero, bisognerebbe davvero metterlo nel programma dell’anno, quasi organizzato in più momenti, esattamente come hai fatto tu a Natale.

    Andrea: C'è un podcast su Storytel appena uscito che si chiama proprio Digital Detox, che spiega un po’ come fare per evitare che la tecnologia e il cellulare soprattutto prendano il sopravvento sulle nostre vite, carino.

    Manuela: Andrò assolutamente a sentirlo, lo metto subito nella lista, in coda.

    Andrea io ti ringrazio davvero tanto per questa chiacchierata, e soprattutto per gli spunti che ricevo ogni giorno leggendoti, e ascoltandoti.

    Andrea: ah grazie mille a te!

    Take Away

    Manuela: Da questo episodio porto a casa l'ennesima conferma: scegliere di ascoltare è la cosa più creativa, avventurosa e inaspettata che ci sia. 

    Che sia una persona, un libro, un podcast o la mia voce interiore, questo è quello che mi serve per non sentirmi mai fuori tempo. 

    Non è semplice, ma l'ascolto è come un muscolo, più lo alleniamo più lui diventa forte, elastico e tonico. 

    Ho amato questa chiacchiera.

    Io vi saluto, e fino al prossimo episodio, vi auguro di sentire cose strabilianti.

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    Ciao e a presto.

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