Ribaltare
la prospettiva
Valeria Locati
Cosa succede quando ci autorizziamo a guardare il nostro mondo da altre prospettive? E se utilizzassimo i luoghi un cui viviamo come un grande specchio che ci restituisce risposte su noi stessi ogni giorno? Ne parlo insieme a Valeria Locati aka @unapsicologaincitta in questo nuovo episodio del podcast. Psicologa e psicoterapeuta, Valeria con le città ha un rapporto speciale, infatti attraverso le conformazioni urbane racconta la psicologia, le sue dinamiche e quel che succede quando iniziamo a osservarle. Una metafora calzante e in continua evoluzione. Abbiamo parlato di New York e di Milano e come queste città hanno impattato sulla vita di Valeria. Di altezze, di odori, di people watching, di gatti e di prendersi cura, di movimento, di curiosità, del libro "Il giovane Holden", di coraggio e di estati passate in biblioteche newyorkesi.
Buon Ascolto
(^_^)
“E questa cosa nella mia testa mi ha fatto fare scintille! Perché l’idea è, che cosa accade a mano a mano che noi ci permettiamo di guardare ad altezze diverse…”
— Valeria Locati
Scopri di più su Valeria Locati
Valeria Locati è psicologa, psicoterapeuta sistemico-relazionale, psicodiagnosta ed esperta nel trattamento del disturbo da gioco d’azzardo. Riceve individui, coppie e famiglie a Milano e online ed è consulente del DSMD dell’ASST Rhodense presso cui svolge attività clinica, formazione e supervisione su gioco d’azzardo, dipendenze da e senza sostanza. Effettua valutazioni e consulenze a tema giuridico in qualità di ausiliaria psicodiagnosta e CTP all’interno di Consulenze Tecniche d’Ufficio. Conduce il primo gruppo psicoterapeutico di libroterapia relazionale online, di cui sono già state attivate nuove edizioni. Gestisce e coordina supervisioni cliniche individuali e di gruppo secondo l’approccio sistemico-relazionale. In rete, racconta il mondo psicologico attraverso la metafora della città, cura contenuti di divulgazione scientifica per la community del profilo Instagram e per canali web e televisivi di informazione e intrattenimento. Nel 2025 ha pubblicato il libro Latitanza che cura per Mondadori.
LIBRO
LA DISTANZA CHE CURA - MONDADORI
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Altro:
Sito web e blog Una Psicologa In Città
Freeda - Blue Chats - YouTube playlist completa
"Ansia? Parliamone" Podcast originale Storytelling
Valeria. Una psicologa in città. Amica di libri - Sottolineando.it
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“E questa cosa nella mia testa mi ha fatto fare scintille! Perché l’idea è, che cosa accade a mano a mano che noi ci permettiamo di guardare ad altezze diverse…”
Benvenuti a nuovo episodio del podcast “Le Faville” la serie dedicata a quel momento preciso in cui sentiamo che tutto sta per cambiare. La favilla è quella cosa che a un certo punto sboccia, salta, nasce e ci spinge a cambiare, creare, distruggere, ricostruire e ripensare ogni cosa. In questo spazio voglio celebrare le faville di persone molto diverse tra loro. Farmi raccontare come le hanno ascoltate e in quale luogo si sono fatte portare, attraverso conversazioni organiche e libere.
Ciao a tutte, tutti e tutt*
Nell’episodio di oggi chiacchieriamo con Valeria Locati che molti di voi conosceranno come @unapsicologaincitta.
Valeria con le città ha un rapporto speciale, infatti attraverso le conformazioni urbane racconta la psicologia, le sue dinamiche e quel che succede quando iniziamo a osservarle. Una metafora calzante e in continua evoluzione.
Psicologa e psicoterapeuta, autrice del blog Una psicologa in città, Valeria mostra quotidianamente come il mondo della terapia e della salute mentale sia approcciabile ed estremamente affascinante.
Argomento di cui non si parla mai abbastanza.
Sono molti i luoghi e contesti in cui Valeria lavora, oltre al suo lavoro in studio, e il lavoro scientifico, e le sedute di libroterapia relazionale online.
Ha scritto e condotto un podcast stupendo esclusivo Storytel che si chiama “Ansia, parliamone?”.
In Blue Chats, talk originale di Freeda cui affianca Aurora Ramazzotti e dialoga insieme ad altri giovani di tematiche che affliggono e preoccupano le nuove generazioni.
E molti sono i suoi interventi in festival ed eventi in cui si parla di salute mentale.
Noi abbiamo parlato di New York e di Milano, di altezze, di odori, di people watching, di gatti e di prendersi cura, di movimento, di curiosità, del giovane Holden, di coraggio e di estati passate in biblioteche newyorkesi.
Buon Ascolto!
Manuela: Ciao Valeria, grazie per essere qui oggi.
Valeria: Ciao Manuela, grazie per l'invito.
Manuela: Un bel po’ di tempo fa ormai, ho conosciuto il tuo lavoro, indubbiamente la prima cosa che mi ha colpito e che ho trovato geniale è stato il raccontare la psicologia attraverso la metafora della città. Da cosa nasce questa intuizione?
Valeria: Allora, intanto devo dirti che io ho sempre un po’ avuto in mente il concetto di città, è sempre stato un tema per me molto caro, l'idea di guardare da una finestra e vedere una conformazione urbana. Nel 2016 lavoravo nel servizio pubblico come consulente, all'interno di un dipartimento prevenzione di trattamento delle dipendenze patologiche, e mi rendevo conto che avevo bisogno di esplorare un po’ più quella parte di divulgazione, di comunicazione, di sé vogliamo anche di libertà nel poter comunicare la psicologia a persone che non fossero soltanto i pazienti, mettiamola così.
Tra l'altro era il periodo in cui vabbè, ormai i blog esistevano già da tanto, però era il periodo in cui si stavano affacciando anche un po’ quelle forme che poi sarebbero diventate invece più strutturate nei social network, soprattutto Instagram, di costruzione di mondi che andassero un po’ all'interno delle vite delle persone che possedevano questi social.
Quindi nella mia testa c'era l'idea del poter aprire una sorta di spazio, di sé vogliamo anche di posto sicuro, in cui poter raccontare quello che le persone fanno nella loro quotidianità, quando si muovono all’interno delle vie di una città.
Per cui ho immaginato che agli incroci della città si potessero paragonare gli incroci della vita, per cui i matrimoni, le nascite dei figli, dei momenti particolarmente importanti, le separazioni, oppure tutte quelle situazioni, per esempio di stress, di disagio, di fatica e che potessi in qualche modo raccontare tutte queste esperienze, tutti questi nodi psicologici, provando a raccontare un pochino anche come le persone possono trovare degli spazi diversi per potersi sentire accolti.
Per cui ho cominciato a immaginare che all'interno di una città come Milano, non so attraverso un cinema, attraverso un bar, attraverso una mostra, attraverso proprio anche degli spazi dedicati alla cultura, alle persone può offrire una visione diversa di quelle che sono magari le fatiche che ogni persona incontra quotidianamente.
Quindi con dei voli pindarici pazzeschi, perché all'inizio era davvero tutto un grande, se, un grande ma, dei grandissimi dubbi rispetto alla fattibilità, alla comprensione, alla diffusione anche alla comunicazione di questa di questa mia idea, ho deciso di aprire un blog e dal blog in poi sono nate una serie di connessioni poi anche come ti dicevo, con i social e quindi con questo spazio che poi è diventato @unapsicologaincitta.
Io ho in mente come si è un po’ strutturata questa situazione.
Ricordo che, come spesso accade, la vita se vuoi sa già delle cose rispetto ai tempi della nostra capacità di realizzarle. No?
E quindi in qualche modo era come se avessi già delle idee.
La città è sempre stata nei miei pensieri, ma anche l'idea di comunicare un certo modo di fare psicologia, e quando poi mi sono resa conto che avrei potuto davvero fare qualcosa di molto pratico sono andata un po’ in tilt e quindi ho cominciato anche a chiedere dei pareri alle persone che stavano intorno a me, sia colleghi, sia persone, amici, parenti.
Ma ci sono state in realtà poi due persone che sono state davvero significative, una di queste, tra l'altro, è anche il mio supervisore che mi hanno detto “Vai, è molto bello, ti rappresenta! Va poi puoi partire, puoi fare” e da lì le cose poi sono andate crescendo, sono andate strutturandosi diversamente, hanno preso una forma anche se vuoi anche meno idealizzata.
Perché io, ho un po’ questa caratteristica di partire sempre un po’ nel mondo delle idee, però poi essendo anche abbastanza concreta, poi mi stufo di quell'idea e ho bisogno che rappresenti invece qualcosa di molto tangibile, di molto, come dire anche riconoscibile dagli altri no?
Per cui è stato un continuo mettere a punto questa forma che è quella del blog, ma che poi è diventata appunto un po’ il mio spazio sul web e renderla davvero un po’ più simile a me
Manuela: Il bello delle idee che quando poi si concretizzano acquisiscono anche un vero e proprio carattere, anche magari un po’ distante dall'idea iniziale, però ancora più personale.
Valeria: Si, guarda, io ti direi che le idee hanno un motore pazzesco perché poi vanno per i fatti loro.
(Manuela e Valeria ridono)
Cioè non so come dire, la pensi ce l'hai lì e poi va, poi cammina e poi esce da te e si trasforma, entra in relazione con l'esterno, entra in relazione con le parti di te che stanno nelle persone che ti vogliono bene, nelle persone con cui collabori, con cui, insomma fai delle cose all'interno della vita.
Perlomeno per me è sempre stato così, queste idee prendono davvero la loro dimensione e quasi tu dici “Ma l'ho avuta io quell'idea lì? Davvero? Perché io non me la riconosco, mica tanto!”.
Manuela: Certo, come è vero!
Quando hai iniziato si parlava poco di psicologia in rete in modo così diretto.
Tu però hai creato un posto che naturalmente non dà soluzioni, come infatti un terapeuta deve fare, ma stimola a farsi domande.
Dare forma a questo luogo è stato difficile?
Valeria: Allora ti direi che è stata per certi versi una tortura.
(Manuela e Valeria ridono)
Ma no, adesso poi sembra una cosa tremenda, ma giuro che non lo è.
Allora è uno spazio che io amo, perché quando io ho iniziato, come tu hai detto correttamente i riferimenti anche proprio se vuoi anche scientifici, erano davvero esigui, se non quasi del tutto assenti.
C'era qualche presenza, qualcuno a cui ispirarsi, che però di per sé non mi faceva impazzire in termini di riconoscimento, in termini di adesione, cioè, sentivo che quel tipo di espressione, quel tipo di comunicazione, non…not my cup of tea, non so come dire, no…
Manuela: Si!
Valeria: Cioè proprio quel pezzo del “no, non mi rappresenta per niente.”
Quando mi sono trovata a poter immaginare di aprire un pochino sul web uno spazio in cui poter anche dire la mia in termini davvero di professione, ho detto “Beh, ma è bellissimo, però è pericolosissimo!”.
Perché il rischio è quello di portare un modello che è il modello della stanza di terapia o il modello appunto scientifico, accademico della tradizione psicoterapeutica classica in un contesto che invece è pericoloso, perché?
Perché non ha regole!
Perché il web non ha regole di privacy, non ha regole del setting, non ha le regole della relazione con l'altro in termini proprio di presenza.Manuela: Certo.
Valeria: E quindi come dici tu, quello che io vedevo nelle esperienze già presenti era invece questo rischio di linearità.
Per cui, facciamo il classico esempio “dottoressa, la mia autostima e bassa, come faccio ad aumentarla?” come se fosse una questione di non so, annaffiare una pianta o mettere dell'acqua all'interno di un vaso.
Questa cosa, quindi, è stata una fatica, ma in termini di “come mi muovo?” cioè come tengo a mente tutto quello che ti ho raccontato prima; quindi, tutte le regole che rappresentano la mia professione, la mia deontologia, la mia cornice in un contesto che invece è davvero un po’ un contesto in cui tenere sempre un po’ la lama tra i denti.
Io l'ho fatto divertendomi, cioè io mi sono sempre divertita, mi sono sempre entusiasmata, mi sono sempre immaginata nel fare una cosa che prima di tutto facesse stare bene me, perché nonostante appunto l'aver scelto di entrare anche nel mondo del web, poi la le mie giornate sono sempre state giornate impegnatissime dal punto di vista della clinica e tante altre attività per cui è sempre stato un po’ un pezzetto collaterale, una sorta di hobby, solo recentemente è diventato invece qualcosa di più strutturato, proprio in termini anche di riconoscimento.
E quindi all'inizio doveva necessariamente essere qualcosa di bello, e quando mi sono data un po’ l'autorizzazione a far sì che potesse essere uno spazio comunque buono, sano e in cui non raccontare al vento teorie a cui le persone avrebbero potuto anche dedicarsi in maniera errata o comunque no, andare oltre quello che è la specificità della situazione e lì è stato proprio un po’ una sorta di epifania, per cui mi sono detta “Che bello no? Posso farlo, posso andare avanti?”.
Manuela: I libri sono un punto fondamentale della tua narrazione, hai scelto di utilizzarli in vari modi nel tuo lavoro, nella tua presenza online.
Tra l'altro, molti dei libri di cui parli finiscono spesso nella mia reading list.
Valeria: ahahhaha
Manuela: Mi piacerebbe che mi raccontassi come funziona una seduta di libroterapia.
Manuela: Wow, bellissimo!
Valeria: Una delle attività che amo di più del mio lavoro.
La libroterapia relazionale, ci tengo sempre a usare l'aggettivo relazionale perché si basa proprio sulla terapia sistemico relazionale, che è quella che muove la mia mente, ma nella quale io mi riconosco in termini proprio di modello teorico.
Nasce tutto di base, durante il lockdown del 2020, durante la pandemia da Covid19 quando con il mio collega, il Dottor Vassallo, decidiamo a un certo punto di poter utilizzare la lettura che è sempre stata una passione condivisa ma in generale un tema che ha sempre un po’ toccato anche le grandi tematiche psicologiche, decidiamo di poterla utilizzare all'interno di un gruppo di terapia.
Quindi terapia di gruppo classica, per classico intendo con tutte le regole del setting, con la privacy, con il lavoro proprio clinico, ma a partire dalla lettura di libri che vengono scelti di volta in volta dai due terapeuti appunto che gestiscono il gruppo, e che vengono utilizzati per far sì che le proprie storie individuali trovino delle risonanze con quelle dei personaggi citati all'interno dei libri.
I libri, se tu mi segui ma appunto mi stai dicendo di si rispetto alla tua reading list, hanno sempre, sempre a che fare con dei temi familiari, di coppia, intergenerazionali, di relazione anche con i luoghi, ovviamente questo per me è imprescindibile, perché è impossibile che non si parli anche di luoghi.
Ok, non sempre e solo città, però l'idea è proprio quella di connettere parti di sé alle storie ascoltate prima lette, scusami e poi ascoltate dagli altri partecipanti, perché la bellezza di un gruppo e delle relazioni all'interno di un gruppo è quello di poter costruire una trama narrativa nuova, a partire dai cuori se vogliamo, per cuori intendo dire proprio dalle emozioni, dai vissuti, dai dolori, anche che sono presenti all'interno di quella seduta.
Quindi non è tanto una seduta di per sé, ma è proprio un percorso, un processo che si crea all'interno di questa libroterapia relazionale di gruppo, che restituisce, se vuoi, dei nuovi modi di vedere sé stessi.
L'obiettivo, sicuramente il mio obiettivo all'interno del mio fare libroterapia è proprio quello di vedere degli effetti, di vedere un'evoluzione, un cambiamento.
Magari partendo da un personaggio descritto, che ne so, da Jonathan Franzen che non assomiglia per niente a tutte le caratteristiche che i partecipanti al gruppo invece si erano magari attribuiti nella vita, ma che invece trovano spazio magari per differenza, magari per desiderio, magari perché non ci aveva mai pensato.
Devo dirti che non è solo un lavoro dei pazienti o di chi partecipa (io li chiamo pazienti, ma poi di fatto sono partecipanti al gruppo) ma è una crescita anche dei terapeuti, per quel che mi riguarda sicuramente, nel senso che è proprio un modo nuovo di vedere se stessi e quindi anche di vedersi all'interno della relazione clinica prima di tutto, proprio un po’ anche inedita, e tu immaginalo portato nel contesto del 2020 della pandemia da Covid, quando Zoom o tutte le altre piattaforme diventavano assolutamente un momento di salvezza, un momento di appartenenza, quindi la creazione di un legame.
Manuela: Assolutamente!
E questi partecipanti o pazienti, non erano già pazienti dello studio?
Valeria: La cosa bellissima è che è stato possibile incontrare anche persone che stavano in tutt'altra parte d'Italia, non solo a Milano, quindi ovviamente non persone che erano già pazienti in studio, ma anche tanti e tante pazienti che stavano all'estero, un po’ come te. (Valeria sorride)
Manuela: Che meraviglia!
Valeria: Sì, la possibilità di dire “io ho bisogno di fare terapia o comunque di partecipare a questo gruppo nella mia lingua madre” perché io questa cosa la credo fermamente, la lingua della terapia è la lingua madre.
Non si può pensare di fare un passaggio così faticoso come quello dell'aprire il proprio cuore, del connettere dei pezzetti con un altro filtro, perché deve la testa deve andare, il cuore deve andare, deve lasciare andare un po’ le barriere.
Manuela: Sono perfettamente d'accordo.
È davvero difficile immaginare di farlo in un modo diverso.La psicologia e la terapia portano a una mobilità continua per natura.
Tu ogni giorno hai a che fare con la mobilità dei tuoi pazienti e con la tua personale. Come ti è cambiata questa sollecitazione continua?Valeria: Urca!
Che domanda, questa è una domanda terapeutica, tu mi stai facendo una domanda terapeutica. Stiamo ribaltando i ruoli!(Valeria e Manuela ridono)
È una domanda meravigliosa perché richiede una risposta in movimento, necessariamente!
È vero, le persone che arrivano da me sono in movimento, ma non sempre, anzi a volte questo movimento è un movimento che viene desiderato, ma che magari non si riesce ad ottenere.
Se penso al mio movimento come persona, mi rendo conto che tante volte si tratta di sincronizzare questo tipo di movimento, quello che un po’ il ritmo, no?
Saper andare a un certo passo o con una certa velocità è necessariamente da connettere al ritmo, che sia della persona che si ha di fronte. Questo credo che sia un pochino un passaggio importante per chi fa il mio mestiere, ma soprattutto per chi si trova, come dicevi tu, ad essere sollecitato dal movimento dei pazienti, dal movimento personale, dal movimento professionale.
Quindi ci si muove come ci si muove all'interno di una città.
Pensiamo un po’ al traffico, no? Adesso mentre parlavo, provavo a immaginarmi la città e il movimento e mi è subito venuto in mente il traffico, chissà perché!
In questa città è abbastanza facile!
Però penso a tutte le volte in cui si è impazienti e si vorrebbe…io ogni tanto desidero adesso, dico questa cosa, spero di non essere denunciata da nessuno, ma io desidererei avere, sai quei suv enormi no? Che ho ben visto tante volte nel West americano, con cui poter andare sopra le altre macchine, senza danneggiare nessuno eh! Non schiacciare nessuno, lo giuro, lo giuro.
(Manuela e Valeria ridono)
Però, come dire, proprio l'idea del “basta, spostatevi!” non tanto perché io debba andare più veloce degli altri, non è quello il punto, ma perché, come dire, questo è il mio ritmo, me lo stai un po’ intralciando.
E questo pezzetto qua, è un pezzetto invece che mi rendo conto essere il mio di Valeria, non la Dottoressa Locati ma Valeria. E che però in qualche modo poi deve essere ricalibrato, quando invece mi trovo ad affrontare il ritmo degli altri, delle altre persone, delle persone che si rivolgono a me.
C'è da dire però, che una delle cose che ho imparato nel tempo e che credo mi salvi, ma come sono sicura salvi tutti i miei colleghi, non sono io che sono speciale, assolutamente! Sia proprio la capacità di dire “Ok, adesso faccio click ed entro in seduta, e il ritmo non è più solo. Il mio è il ritmo della relazione, non è tanto il ritmo del paziente, ma è proprio il ritmo della relazione.
Manuela: Certo!
Valeria: E spesso, accade che ci siano con gli stessi pazienti delle sedute che vanno a una certa velocità e delle sedute invece, che sembrano stagnare e poi in realtà, quanto erano importanti! Quei cambi di passo, quei cambi di ritmo, anche quella sorta di immobilismo, poi in realtà diceva tanto magari delle relazioni che la persona che avevo di fronte stava vivendo nella sua vita, all'esterno di quella stanza di terapia.
Manuela: Assolutamente, mi viene un po’ un parallelismo con lo storytelling delle serie TV. Ci sono quelle puntate dove non succede niente, e tu dici “ah, questa puntata è stata lenta”.
Beh, no! Questa puntata serviva per poter raccontare la storia più velocemente dopo, per cambiare la narrazione.
Valeria: Ma anche, sai, per prendersi anche un po’ cura di sé, perché la terapia e in generale la psicologia, ma sicuramente la psicoterapia, purtroppo secondo me risentono un pochino di questo mito del cambiamento a tutti i costi, no?
Cioè, vado in terapia perché devo stare meglio.
Certo, ovvio meno male no, che sia che quello è l'obiettivo.Però poi si ha un po' l'idea che si debba subito toccare il cambiamento, che si debba subito capire qual è la direzione da prendere, e guarda te lo dice una che scalpita in continuazione. Però quella seduta lì di tranquillità o quella puntata, come dicevi tu, in cui forse è necessario un po’ all'intreccio e ai personaggi a prendersi loro spazi e anche un modo per dire “Ok, mi prendo anche cura di questo tempo che sembra un po’ più lento, perché altrimenti non posso sempre andare a mille o non posso sempre andare a zero. No?”.
Però è proprio un darsi importanza.Manuela: Assolutamente si.
Io lo ripeterò fino all'ultimo dei miei giorni.
Il tuo lavoro è il lavoro più bello che c’è al mondo.
Ho un amore, un interesse che ho sempre avuto, sempre nutrito e credo che sia davvero il lavoro più bello.Valeria: Guarda, mi sento di concordare!
La scorsa settimana, due settimane fa non ricordo, quando nel Q&A del sabato, c'è questo box domande, insomma, a cui io rispondo.Manuela: Sì, sì, io non me ne perdo uno.
Valeria: Questa persona mi chiedeva, se non avessi deciso di fare la psicoterapeuta, cosa avrei fatto? Nient'altro, quello avrei fatto e sono assolutamente convinta che uno dei motivi, sia perché legittima la mia curiosità.
Cioè mi permette di poter essere curiosa e come dire “ti do la benedizione affinché tu possa essere curiosa delle storie altrui” senza dover passare per quella che fa un sacco di domande.”
Io faccio sempre un sacco di domande alle persone, ma sai se sei all'interno del contesto clinico sei anche un po’ autorizzata a farle.
A me interessa proprio, c'è la curiosità, perché credo che poi quella curiosità lì che va a colpire la parte il mio centro del piacere nel cervello mi aiuta poi a dire “Ok, con questo appagamento io terapeuta che cosa ti restituisco? Che cosa posso aiutarti a fare in termini clinici?
Manuela: Quali sono gli elementi che ti servono per capire una città?
Valeria: Necessariamente gli odori. Credo che sia per me impossibile guardare una città senza annusarla, ho da sempre questo amore per i profumi, ma soprattutto per gli odori, non necessariamente sgradevoli eh! Ma proprio odori.
Io ho mente tutte le città che ho nel cuore, ma anche quelle che non mi sono piaciute o anche quelle da cui sono transitata, il mio cervello le associa sempre a dei micro-momenti in cui magari ho sentito un certo odore, un certo profumo, una certa fragranza.
Mi chiedo sempre “Bella questa città, sarà bella, sarà…boh desiderabile, chissà come sarà viverci, ma mi chiedo anche sempre, chissà che odore ha questa città?”.
L'altra invece sono le altezze, per poter capire, per poter dare uno sguardo che a me piace avere sulla città, di solito analizzo le altezze.
Per altezze, intendo non tanto le altezze in termini di “dalla base alla cima di un edificio, di un punto di interesse particolare, ma il vari livelli di altezza.”
Per esempio, prendiamo New York perché è la cosa più facile in questo momento, ma anche a Tokyo, per dire, le città del Giappone.
A New York c’è vita a tanti livelli diversi, all'interno delle sue altezze.
Ci sono le attività a livello strada, ma poi man mano che sali c'è tutto un mondo diverso, sia in termini di persone sia in termini di edifici, sia in termini di luce sia in termini di rifrazione anche della luce che appunto che va a creare delle immagini diverse.Penso per esempio a Tokyo, una cosa che mi ha colpito tantissimo è che ogni piano dei palazzi era destinato a un'attività diversa. Cioè, da noi il un modello è un po’ diverso, l'esercizi commerciali in basso e poi man mano che sale, ci sono appartamenti, uffici o cosa e li era magari tutto al contrario, no?
Per cui non so, il bar al quinto piano, il negozio di arredamento al sesto e questa cosa nella mia testa ha proprio davvero, ha fatto fare scintille.
Perché l'idea è: che cosa accade a mano a mano che noi ci permettiamo di guardare ad altezze diverse?
Questa di solito è una metafora che io utilizzo tanto in terapia perché permette di andare un po’ oltre, no?
Permette di dire “Ok, io non ho davanti solo il palazzo A, il palazzo B, il palazzo C, ma ho davanti degli elementi ai quali io posso attribuire delle caratteristiche e dei connotati.
L'altra cosa sicuramente è l'attività che io amo tantissimo, che è quella del People Watching. Io passerei le ore, quando facevo l'università, io stavo a casa dei miei, che appunto era in provincia, prendevo il treno per recarmi a Milano.
Spesso i treni erano in ritardo, per cui io passavo alla stazione di Milano Cadorna lunghissime mezz'ore. Una volta c'erano ancora le sedie, c’era la possibilità di attendere in maniera, insomma, non in piedi. Ricordo che io passavo le mezz'ore a guardare le persone transitare. Guardarle come erano vestite, come parlavano, se avevano un profumo e questa cosa mi ha sempre colpita, perché poi nella mia testa mi chiedevo “chissà se sono felici, chissà se stanno bene, chissà cosa fanno.”
Tutte le volte che vado in un posto nuovo, che sia una città nuova, che sia un contesto nuovo, un po’ la cosa che mi chiedo è “chissà che lavoro fanno, chissà se sono felici. Chissà che fanno. Quali sono le loro storie?”.
Non è che poi io abbia, come puoi immaginare, delle grandi risposte rispetto alla valutazione di una città da questo punto di vista però mi rendo conto che questo è proprio uno dei miei meccanismi di funzionamento, di attivazione insomma.
Manuela: Che bello.
Citi spesso Calvino quando scrisse “d'una città non godi le 7 o le 77 meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.”Qual è la risposta più importante che è una città ha dato a una tua domanda?
Valeria: Eh, wow!
Ci sono stati dei momenti, non ti nego che anche adesso potrebbe essere uno di quelli, nel senso che è un momento un po’ così, un po’ di rivoluzione nella mia vita in cui ho chiesto, in questo caso a Milano perché la città in cui in cui sono in questo momento, è la risposta che mi è stata data “non ti puoi aspettare che le cose siano facili, così come le desideri.”
Ti faccio questo esempio sennò sembra poco chiaro.
Quando una persona guarda una città complessa, adesso parliamo di Milano, ma mi immagino anche quelle città molto più faticose, anche dal punto di vista della qualità della vita, forse non sempre si trovano delle cose bellissime, no?
Le si abita, però poi non è così semplice, allora un po’ l'idea è chiedersi “vabbè, ma io che ci faccio in un posto che in quel momento magari non mi sta aiutando? Anzi mi vincola o magari crea ancor più confusione?”.
E nella mia testa è sempre stato “vabbè però io ricevo talmente tanto da Milano, la amo così tanto, mi sono sempre sentita così tanto accolta che posso perdonarle anche dei difetti, o posso anche perdonarle, a volte la fatica.”
Ci sono stati dei momenti in cui mi sono sentita invece un po’ invisibile agli occhi della città, un po’ come dire “noi andiamo a questo ritmo, se tu vuoi ci segui, se non vuoi, invece insomma, arrangiati un pochino!”.
E devo dire che poi invece la risposta che ho avuto a questa domanda sul “ma perché tu Milano stai funzionando in questa maniera?” in realtà poi è stato un “non sono io che funziono così, ma è la nostra relazione” e mi ha permesso di fare un parallelismo tra questo clima urbano e le relazioni della mia vita, le persone importanti nella mia vita o comunque tutto quello che mi ha fatto fare fatica nella vita.
Quindi devo dire che adesso sono in una fase di riconciliazione.
Mi sento perdonata ed ho perdonato Milano se penso alla mia vita attuale, alla mia vita quotidiana.
Su New York invece le domande sarebbero tantissime e ne ho delle pilloline nella mia testa, ma di base New York ha risposto un po’ al mio bisogno di autonomia.
E poi appunto per me la città è proprio una persona, come se fosse proprio un elemento sempre presente nella mia vita e quindi io ho proprio un po’ un pensiero che sembra quasi un delirio, me ne rendo conto
(Valeria e Manuela ridono)
che sembra quasi una cosa un po’ particolare, però mi aiuta sempre tanto a sentirmi parte di un sistema, parte di un contesto e quindi di dovermi anche relazionare a quel contesto lì.
Manuela: No, invece io mi ci rivedo molto in questa tua lettura.
Assolutamente, perché anche per me, New York o la città è un elemento imprescindibile, cioè che è lì, che interagisce con te, che ha una certa energia e che quindi devi farci i conti come un qualunque altro elemento della famiglia.
È lì, è tangibile e prende spazio, sono d'accordo.
Qual è stata fino ad oggi la tua più grande favilla?
Valeria: Io credo sia stata la possibilità che mi sono data di poter essere coraggiosa nonostante I’inesperienza, nonostante la giovane età, quando ho iniziato.
Ho questo bellissimo ricordo, era il 2005, ero a New York per la prima volta, non avevo ancora compiuto 24 anni, quindi ero proprio una ragazzina.
Arrivavo da un anno precedente molto, molto, molto faticoso e mi ricordo che io ero lì per mettere a punto la bibliografia per la mia tesi di laurea specialistica e stavo con delle studentesse che però erano delle dottorande; quindi, erano molto più grandi di me. Soprattutto ad agosto, come tu ben sai, luglio-agosto le scuole così ovviamente sono chiuse.
Per cui io passavo tanto tempo in biblioteca e ricordo che un giorno la docente presso cui ero ospite in termini di dipartimento dell'Università mi disse “Guarda, se vuoi ti ho organizzato questo incontro con questa terapeuta della famiglia.”
Io stavo facendo una tesi sui drop-out in terapia di coppia con l'approccio della terapia familiare. Quindi lei mi dice “Guarda, c'è questa possibilità così magari fai due parole con lei sempre rispetto al tuo lavoro” e io accetto volentieri.
Avevo incontrato già altre persone, poi i docenti universitari americani sono molto alla mano, ti fanno sentire subito a tuo agio e a volte sono anche molto giovani.
E sai, quando guardo l'indirizzo era un appartamento su Park Avenue e quindi comincio a dire “Mmh…caspita però, come sarà questa situazione?”.
Vado a cercare le informazioni su questa terapeuta famosissima, che tra l’altro è venuta a mancare da poco che si chiama Peggy Papp, io non la conoscevo ovviamente perché ero veramente piccola, all’inizio dei miei studi.
Ed era una delle maggiori terapeute familiari, adesso non so se della costa est e posso dire degli Stati Uniti. E io dicevo, ma io come faccio ad andare, io da sola a casa di questa donna, a chiederle che cosa? Ero terrorizzata.
Poi arrivo in questo appartamento, con l'usciere, quindi cerco di mettermi tutta carina, poi ti assicuro che a 23 anni sembravo una quindicenne.
Arrivo in questo palazzo, lei mi accoglie in questo appartamento meraviglioso con queste vetrate, si vedeva tutto quello che una persona che ama la città può desiderare, c'erano palazzi ovunque, cose meravigliose.
Lei mi dice, “prego, siediti, raccontami, raccontami del tuo progetto”, e io le racconto e poi dentro di me penso “ma io sono qui che, sto parlando con una persona dall'altra parte del dell'oceano e questa persona che ascoltando me.”
Lì ho proprio pensato, quanto è stato bello potermi dare l'occasione di partire da sola, perché poi, al di là del contesto universitario, ero completamente da sola.
Vivevo con una signora americana, quindi c'erano pochissimi studenti, non avevo amici, non conoscevo nessuno e per tanto tempo è stato così quell'estate, perché ero quasi sempre da sola e mi sono detta “che meraviglia questa cosa, no?”.
Il fatto che attraverso le sue parole io ho potuto credere in me stessa e ho potuto pensare “che bello avere coraggio nel fare le cose.”
E nel tempo ho sempre pensato che sia stato proprio quello…cioè far faville proprio per me l'idea del mi dò la possibilità, mi do l'occasione, metto un po’ a tacere quelle voci che io ho, perché sono umana e a volte urlano anche tanto “ma sei proprio sicura?
Manuela: Che meraviglia, davvero.
Com'è il tuo stato d'animo quando sei fuori dalla dimensione della città?
Valeria: Mi manca un po’ l'aria.
Manuela: Ahhh.
Valeria: Beh si. Se mi porti in uno spazio in cui ci sono soltanto i rumori, non so, dati dalla natura, gli uccellini, una cascata oppure non so, magari tutte quelle condizioni di pace, di serenità, anche la possibilità di guardare un po’ oltre, con la vista io dopo un po’ comincio a dire no basta, ho bisogno di rumore.
Ho bisogno di tornare nel caos, ho bisogno di ritornare un po’ a sentirmi parte di qualcosa che pulsa.
Il mio stato d'animo è proprio sempre quello un po’ quello dell'impazienza.
Devo dirti che negli anni questa cosa è cambiata.
Sono diventata più brava ad essere un po’ più paziente, perché credo che rispecchi anche un po’ la maturità, sia personale ma anche professionale. No?
Manuela: È stato così anche per me, per tanti anni.
Adesso sto vedendo uno shift proprio dentro di me.
Non lo so se sono undici anni a New York che mi hanno portato a cambiare la prospettiva, forse si, però sì, io ho scelto questa costa invece di andare in California perché avevo bisogno sicuramente di una determinata energia per poter fare le mie cose. Però adesso c'è un'attrazione, devo dire per i luoghi più naturali.
E non pensavo potesse avvenire, ma sta avvenendo.
Valeria: Che bello dai, vuol dire che nasconderà cose importantissime sono sicura, che meraviglia!
Manuela: Speriamo.
A un certo punto, come dicevamo, tu hai incontrato New York, come ha interagito New York con te e tu con lei?
Valeria: Ho incontrato New York e nulla più e stato uguale.
Perché ho detto no, ma qui di cosa stiamo parlando?
Allora New York secondo me mi ha amata, cioè io ho sempre un po’ questo…adesso sembra anche questo molto presuntuoso, ma io mi sono sempre sentita vista da New York.
Però la mia relazione con New York è cambiata negli anni.
Milano l'ho sentita respingente in alcuni momenti, invece New York secondo me andava proprio alla velocità sua.
New York è una di quelle amanti che o sei sempre lì e ci sei ogni giorno e fai un check di che cosa sta funzionando e di cosa non sta funzionando però non è una città in cui tu puoi dire “Ok, do per scontato qualcosa, mi quieto un attimo, è tanto questo amore meraviglioso ha un patto e ha le sue basi”.
New York è amata da tutti, è corteggiata da tutti, non sarà mai soltanto tua e quindi questa cosa, nel corso degli anni io questa cosa nel corso degli anni io l'ho vista rispetto al fatto che non aveva degli aspetti che non erano collimavano più così bene, non si incastravano più, magari con quelle che erano le mie richieste.
Soprattutto per un certo periodo, in cui ero magari più concentrata sulla mia attività qua a Milano, sul lavoro tutto quanto era, come se la guardassi con un occhio del” Ok, però le tue cose cara New York, a volte sono un po’ superficiali, no? Quindi ti guardo, sei bellissima, sono sempre innamorata di te, però un po’ come dire, la volpe e l'uva, cioè, forse non ci arrivo mica tanto e allora vs bene così” in realtà, no, sono tornata questa primavera e non vedo l'ora di tornarci ancora.
Ho proprio bisogno di tornarci un'altra volta perché son cambiate un po’ di cose, nel frattempo, ci sono tornata in primavera e ho detto “no, sei sempre l'amore della mia vita!
Ecco, questo mi provoca a New York, mi attiva il pensiero, mi attiva le connessioni.
E una cosa che avevo lasciato indietro negli anni, mi ha aiutata a tornare a scrivere, una cosa che io reputo una delle attività più difficili perché ti prosciuga la scrittura.
Io poi sono un po’ meticolosa, quindi non lascio andare tanto lo stream of consciousness ma sono lì, a cercare di correggere e quindi immaginati che supplizio possa essere.
Però devo dirti che ho proprio questo ricordo di una sera Bryant Park, seduta sui tavolini da sola, ricordo che ho preso in mano le note del telefono e ho scritto una serie di cose e poi da lì, insomma è proseguito questo pezzetto.
Adesso ci sono un po’ di progetti in ballo e sono molto contenta.
Manuela: È una città stupenda da vedere da soli perché è in grado di risvegliare delle cose di noi che appunto sono dormienti.
Quindi non mi stupisce che ti abbia fatto iniziare a scrivere.
Valeria: New York ti fa fare cose.
Manuela: Si!
Valeria: Cose tutte diverse, ognuno di noi sa quali sono le sue, anzi, forse non lo sa neanche perché molto spesso…non lo sa, però è come se le se le attivasse.
Per me ha l'effetto terapeutico proprio della terapia: attivare le tue risorse, fartele vedere e a volte anche dirti “guarda che questa roba qui che fai, fa schifo! Questa roba qui fa schifo. Quindi smettila, perché tanto oltre a farti del male, non ti porta da nessuna parte!”.
E quindi, insomma, credo che sia fondamentale lasciarsi anche un po’ esplorare da lei.
Io quando atterro a New York dico “Ok, adesso vediamo cosa succede, vediamo che pezzo di me questa volta devo donare, ma chissà cosa ricevo?”.
Manuela: Ti capisco, mi ci rivedo moltissimo è proprio così anche per me. Nonostante appunto sia qua da tanti anni e abbia, come tutte le cose molto belle e molto intense, milioni di difetti.
Valeria: Certo, certo.
Manuela: Riesce comunque ancora ad avere questo effetto, proprio come lo hai descritto tu devo dire magistralmente, di continuamente a dialogare con te, metterti su un piano diverso e se ti toglie qualcosa poi te ne dà un'altra.
Valeria: Sì, sì, sì, che è un bel gioco a “Da dove arriva la sberla?”, Eh?
Manuela: Esatto.
Valeria: Tu sei girato da una parte e poi ti arriva dall'altra, ma va bene, va bene. Sappiamo che New York chiede quello.
Poi ovviamente tu hai un punto di osservazione privilegiato e soprattutto competente, ma anche le persone che magari ci sono state soltanto una volta per un viaggio, ciò che sento è sempre quello, cioè “New York, mi è piaciuta. Mi è entrata nel cuore.”
Ma perché esiste la New York di ognuno di noi, no? Perché è la relazione che noi abbiamo con quella città, che è diversa e quindi, per quanto io stia guardando la stessa cosa, ovviamente la relazione è completamente da calare No?
Nella particolarità, nella realtà della persona che la sta tenendo in piedi insieme alla città.
Manuela: Si è Verissimo.
Non so perché oggi sto costando tutta le serie TV però New York a volte la trovo un po’ come quella serie TV in cui sono rappresentati dei personaggi molto diversi tra loro e che in realtà rappresentano magari la sfaccettatura di lati umani che sono nella stessa persona. No? E quindi tu adori quella serie perché è in grado di effettivamente illuminare talmente tanti lati diversi delle varie personalità e tu riesci a riconoscerti e riesci a riconoscere gli altri e quindi per me New York è un po’ così, è così intrisa di diversità e di rappresentazioni varie che effettivamente è troppo difficile non riconoscersi, non trovarsi, non leggere degli aspetti di te.
Valeria: E la cosa preziosa e secondo me è importante da fare, e un po’ come succede in in termini clinici, quella frammentazione, cioè quella suddivisione dei tanti aspetti della personalità a un certo punto non può essere così parcellizzata, cioè ci si può innamorare di una parte di New York e dire Ok, questa è la mia parte.
Poi però, come stavamo dicendo prima, poi c'è sempre un altro pezzetto, quindi tenerli insieme, tutti questi aspetti fanno New York così speciale, perché stanno tutti insieme. È come l'essere umano, non si può frammentare, perché se ci si frammenta sta malissimo, se si frammenta, si dissocia ed è un problema, se invece tiene insieme tutte le sue parti e le mette in relazione e le connette e le fa funzionare, che meraviglia.
Cioè proprio bello, no?
Una persona che ha tante parti da poter gestire e che sono comunicanti e non stanno ognuna per i fatti suoi a una persona super interessante, una persona super piacevole da incontrare e da scoprire.
Manuela: A proposito di confrontarsi con le città e di utilizzarle per capire meglio noi stessi di recente è nato un nuovo progetto, me lo racconti?
Valeria: Ti ringrazio per questa possibilità perché è un progetto a cui tengo moltissimo.
Con Isola Bianca, che è una un'agenzia viaggi tour operator, abbiamo pensato di dar vita a questo tour che non è soltanto un tour letterario, ma è proprio, a me verrebbe da dire un tour emozionale.
Perché si tratta di un viaggio a New York, quindi un viaggio con tutti i crismi, carismi, quindi con tutte le visite possibili e immaginabili alla città, con l'esplorazione dei quartieri. Ha proprio le caratteristiche di un viaggio turistico vero e proprio, ma ha invece anche però il plus, la cosa meravigliosa, dal mio punto di vista, di poter avere un punto di osservazione che è quello dell’emozione.
Io accompagnerò un gruppo di persone alla scoperta di New York attraverso un po’ quello che è il proprio modo di guardarla.
Quindi osservare alcuni punti di interesse, cercare di capire l’emozione che nasce da quell'osservazione, attraverso la storia dei luoghi, la storia dei quartieri e anche un po’ le energie, il movimento. Un po’ quello che ci siamo dette prima, anche cercare di comprendere, come dicevamo poco fa, provare a trovare le proprie risposte, provare a formulare delle domande a New York stessa e trovare delle risposte che possano essere utili alla propria vita, ma soprattutto al proprio sentirsi bene in una meta così importante e così bella.
Sicuramente sarà un viaggio di gruppo, ma sperimentando la possibilità di autonomia e quella di condivisione.
Il tema del tour è proprio “Alla scoperta di New York, tra emozioni, grattacieli e libertà”, libertà proprio in termini di sguardo, libertà di ricerca delle cose che ci piacciono, e a volte anche libertà di poter dire “faccio un viaggio, vado a vedere una città meravigliosa e magari provo non soltanto a scoprire in che anno è stata costruita Miss Liberty, ma magari anche come mi fa stare guardarla e con chi mi posso confrontare”.
Al momento il progetto è pensato per la fine della primavera del 2023.
La cosa che mi piace tantissimo e che sono riuscita in un pomeriggio a inserire nel programma anche people watching a Central Park.
Manuela: Sarà bellissimo! Sicuramente e non vedo l'ora di vedere quello che succederà, il reportage, le foto che cosa diranno le persone?
Valeria: Ti ringrazio, sono molto, molto emozionata anch'io.
Manuela: Se i tuoi gatti potessero parlare, cosa pensi direbbero di te?
Valeria: Oh Mamma mia, che domanda.
Allora, mi vien da ridere perché penso alle volte in cui veramente l'ho pensato e dicevo “ma se poteste parlare!”.
Al netto del fatto che io sono molto poco materna in generale, ma amo prendermi cura che sembrano due cose contrastanti e invece non lo sono.
Ecco, credo che in qualche modo potrebbero recriminarmi il fatto che su tante cose potrai non essere così morbida, così presente, però poi invece quando si tratta del dover andare al sodo, del dover avere in mente cose importanti, ecco, credo che direbbero, che sicuramente si possono fidare di questa padrona che continua a parlare, parlare.
Durante il lockdown, ovviamente io ho fatto tutte le sedute da casa, perché non si poteva uscire e andare in studio, anche se da sola non era una cosa piacevole. Insomma, non avrei potuto perché appunto facendo una professione sanitaria, però insomma, preferivo stare a casa.
Avevo la mia stanza, solo che all'interno della stanza ogni tanto facevo entrare i gatti perché altrimenti graffiano la porta, poi non erano abituati ad avermi a casa tutto il giorno per cui soprattutto il gatto maschio ogni tanto, se avesse potuto mi avrebbe detto “Basta, stai zitta. Smettila, Smettila. Non ci interessa tutta questa roba!”.
Quindi credo che possano dire che so prendermi cura di loro, che molto spesso sono un po’ come loro, per cui ci sono sicuramente presente, sono coccolona se vuoi, però anche “Ok, stai un po’ a distanza perché ho bisogno dei miei spazi”.
E poi, forse che ogni tanto se tacessi sarebbe meglio perché è sempre un po’ un ciclo continuo, ahahhaha!
(Manuela e Valeria ridono)
Quindi credo di poterti dire questo. I
Insomma, penso che sarebbero entrambi d'accordo.
Manuela: Adesso è il momento delle Rapid Fire Questions.
Cinque domande uguali per tutte le ospiti delle Faville, a cui chiedo di rispondere con la prima cosa che viene loro in mente?
Il Libro che è cambiato tutto?
Valeria: Mamma mia, mamma mia e posso dirtene due?
Manuela: Certo!
Valeria: Allora, Il giovane Holden sicuramente, e poi Furore di Steinbeck.
Manuela: Il migliore consiglio che ha ricevuto nella tua vita o nella tua carriera?
Valeria: Non fermare il desiderio.
Cioè poter dare spazio al desiderio, fare, andare e proseguire.
Credere in quello che per esempio in relazione al Blog stavo immaginando, quindi andare avanti, non fermarmi.Manuela: Cosa c'è sul tuo comodino?
Valeria: Ah! Delle forbici, aspetta perché detta così!
Allora delle forbici, un abatjour, una scatolina in cui io appoggio gli orecchini alla sera quando li tolgo, il caricabatterie quello magnetico dell’iPhone e in questo momento Lonesome Dove di McMurtry che sto leggendo.Le forbici perché stacco cartellini, etichette in continuazione, mi danno fastidio le cose che sotto i vestiti pizzicano; quindi, ogni due per tre devo tagliare pezzetti. Giuro che non le uso in maniera inopportuna, giuro.
(Manuela e Valeria ridono)
Manuela: Su cosa generalmente le persone si sbagliano su di te?
Valeria: Sul credere che io sia tendenzialmente una persona dolce, una persona molto morbida, una persona molto pacata. Poi non è che non sia così, però ci sono anche dei pezzi, invece molto più marcati invece d’istinto, ecco.
Quindi credo che le persone di primo acchito vedano la parte un po’ più morbida.Manuela: Qual è l'ultima cosa che hai imparato?
Valeria: Ho imparato che posso sdraiarmi su un prato senza dover necessariamente pensare che stiano per arrivare mosche e moscerini, ragnetti e cose, ma posso anche godermela.
Manuela: Ah, che bello!
Valeria: Sono andata a camminare, no, e io sempre un po’ con la natura come ti dicevo, invece ce l'ho fatta.
Manuela: Valeria, dove possiamo trovarti su Internet allora?
Valeria: Sicuramente quotidianamente, a partire dalla ripresa, adesso di settembre su Instagram, il profilo si chiama @unapsicologaincitta.
Poi mi trovate sul blog, non è un’attività continuativa quella della scrittura sul blog però ci sono degli articoli che credo che siano assolutamente buoni, calzanti anche ora, anche se magari hanno qualche tempo.
Poi in studio a Milano, in Piazza Tommaseo, 2 in Zona Conciliazione.
A settembre mi trovate poi con un fitto palinsesto, di eventi e di progetti che troverete sicuramente poi segnalati sempre sulla su Instagram.
Manuela: Valeria, grazie mille per avere condiviso un po’ di te con Le Faville e per avere creato questo posto sereno nella rete per parlare di un argomento che amo profondamente e che fa bene a tutti noi.
Valeria: Io ringrazio te, ringrazio tutti gli ascoltatori delle Faville.
E davvero sei riuscita a toccare delle corde molto importanti e mi fa molto, molto piacere avere anche un po’ ripercorso delle tappe della mia vita, per cui super bello grazie!Take Away
Da questo episodio porto via che le città sono specchi.
Che continuare a chiederci come luoghi, persone, situazioni ci fanno sentire è la chiave per prendersi davvero cura di noi stessi.
Che noi evolviamo esattamente come le città, veloci o piano poco importa, quel che conta è che il nostro ritmo abbia senso per noi. La terapia per me è un posto che libera e che spero sia il prima possibile un posto accessibile a tutti.Io vi aspetto nel prossimo episodio e intanto vi auguro di stare un po’ di tempo davanti allo specchio, in qualunque posto viviate.
A presto.